Nato a Torino nel 1965, figlio di un barbiere siciliano e di un’operaia piemontese, lo scrittore Giuseppe Culicchia è un ex libraio. Ha pubblicato una trentina di libri tradotti in dieci lingue. Il suo "Tutti giù per terra" è diventato un longseller e un film. Gli ultimi libri per Mondadori sono "E così vorresti fare lo scrittore" (2013) e "Essere Nanni Moretti" (2017), Culicchia è ora in libreria con un nuovo romanzo "Il cuore e la tenebra", pubblicato da Mondadori. Ha tradotto tra gli altri Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald e Bret Easton Ellis. Il cuore e la tenebra, il suo ultimo romanzo, è tra le migliori produzioni letterarie del 2019.
- Complimenti Giuseppe, il tuo romanzo è bellissimo. Com’è nata l’idea di scrivere di un Direttore di Orchestra che dopo il divorzio va a stare a Berlino e perché tu conosci così bene la città?
Sono stato a Berlino la prima volta vent’anni fa, nel 1999 e la città mi emozionò moltissimo: recava ancora assai visibili le ferite del Novecento, e subito pensai che avrei voluto ambientarvi un romanzo.
Dopo quel primo soggiorno ne sono seguiti molti altri e nel frattempo ho letto tantissimi libri, visto film, ascoltato musica. Ed è così che mi sono imbattuto nella figura di Furtwängler, il più grande direttore d’orchestra della Storia, che diresse i Berliner su incarico di Hitler. È stato lui a farmi incontrare Giulio, Pietro e Federico, i tre personaggi principali del romanzo.
- Il musicista Rallo vuole un bene infinito ai figli, eppure nel tuo romanzo non riesce a dimostrare questo affetto ai figli Giulio e Pietro, soprattutto al maggiore, ovvero Pietro. Perché?
Non sempre i padri riescono a dimostrare ai figli l’amore che provano per loro. Mio padre, per esempio, mi amava moltissimo, ma non ha mai giocato con me: lui a dodici anni era rimasto orfano di padre e aveva dovuto iniziare a lavorare per aiutare la famiglia e da me pretendeva che a dodici anni fossi già più grande di quanto non fossi.
Io come figlio sono stato prima Pietro e poi Giulio: prima ho giudicato e condannato mio padre, poi l’ho compreso e perdonato. Ma nel frattempo lui era morto. E molte delle cose che avrei voluto dirgli non sono riuscito a dirgliele. Bisogna saper perdonare finché si è in tempo.
- Nel computer del padre, Giulio, che sta aspettando il funerale del padre, trova un sacco di cose. Molte riguardano Hitler e il Terzo Reich. Il musicista ha una fascinazione per l’hitlerismo, ma con molti distinguo. Come hai fatto a non rendere odioso questo padre, anzi umanissimo malgré tout?
Credo sarebbe stato molto facile, banale, scontato, fare di Federico un personaggio sgradevole. Ma non avrebbe avuto alcun senso. Ho perso il conto dei "nazisti cattivi" in cui mi sono imbattuto al cinema e nelle pagine di romanzi come "Le Benevole". Ma la realtà può essere un po’ più complessa degli stereotipi. E per questo ancora più inquietante.
- C’è una vasta bibliografia sul nazismo, in primo luogo Joachim Fest, ma poi filosofi, film e musica pop. Hai letto tutto, hai visto tutti i film, anche quelli della Riefenstahl o recenti come "Lola corre"? Quanto tempo ci è voluto?
Ho letto e visto e ascoltato tutti i libri e i film e i dischi citati in fondo al volume e molti altri ancora. Si tratta di un lavoro che mi ha richiesto anni di ricerche.
- Perché anche Trainspotting di Irvine Welsh?
Amo molto quel libro e quel film e volevo citare quell’inizio esemplare: "Scegli la vita". A un certo punto Giulio si rende conto che il padre si è rifugiato nell’hitlerismo come altri cercano rifugio nella fede o nella droga. Da qui il legame.
- In questi mesi dalla pubblicazione del libro hai letto qualcosa che ti ha colpito delle produzioni letterarie del 2018-2019?
Il libro che mi ha più colpito negli ultimi anni è "La mia vita è un paese straniero" di Brian Turner, NN Editore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Giuseppe Culicchia in libreria con "Il cuore e la tenebra"
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