Intervista ad Angelo Australi: Zia Oria
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Tre mesi in campagna da una zia vedova durante le vacanze scolastiche negli anni ’60. Così Spartaco, decenne di città, scopre di essere diventato grande. Questa, a larghi tratti, la trama del romanzo breve “Zia Oria” (Pezzini editore, “Pagine d’Arte e Letteratura”, Forte dei Marmi, Viareggio, febbraio 2004, euro 8) del figlinese Angelo Australi.
Spartaco, finalmente grande, esce dal suo Valdarno per affrontare il mondo forte delle sue ‘radici’ e vede per la prima volta il mare a Viareggio dove un editore di buone dimensioni, Pezzini, cerca di lanciarlo sulla scena letteraria nazionale.
Un neorealismo applicato alle dinamiche familiari, un ‘come eravamo’ senza indulgenze alle vaporose edulcorazioni della memoria.
Un affetto per quel mondo scomparso che trapela fra le righe e lo rende attuale, per certi versi desiderabile in quanto opposto alla freddezza e lontananza di rapporti contemporanei. Qualche domanda all’autore, per presentarci il libro:
- Con "Zia Oria" ritorna il romanzo neorealista?
In un certo senso sono tornato alle dimensioni di "Vittoria" (pubblicato
nel 1999 per le Edizioni Gazebo), al racconto lungo e più articolato, dove
ogni figura può riflettere una propria luce. Per il resto credo che la mia
scrittura sia un po’ diversa dal neorealismo, i miei personaggi non chiedono
un riscatto sociale, semmai attraverso la semplicità della loro esistenza
cerco di catturare quei momenti, quegli attimi dove il senso di una vita si
manifesta. Non a caso anche in questo nuovo lavoro uno dei personaggi
cardine è una donna, come in "Vittoria", che ha vissuto una vita piena di
sconfitte, ma che trova un suo magico equilibrio. Forse solo poetico,
tuttavia sufficiente a farle comprendere e accettare la realtà. Il legame
con il neorealismo è semmai nel bisogno di ritrovare in una generazione di
scrittori, il piacere di una scrittura fuori dalle mode e dagli schemi.
- Riuscirà Spartaco a farsi amare anche fuori dalla Toscana?
E’ vero, sono un po’ monotono. Non mi sono mai sforzato troppo a cercare
dei nomi originali per i miei personoggi. Qualsiasi cosa scriva c’è
Spartaco, in epoche, in famiglie, in situazioni diverse. Questo anche perché
per dare un senso alle storie i nomi contano fino a un certo punto. Sono
come un vestito. Per assurdo Spartaco potrà farsi amare solo se riuscirò a
tenere le sue storie aderenti a una realtà autentica, capace di incuriosire
e di disintegrare le distanze. In fondo già adesso questo personaggio ha
molti amici anche fuori dalla nostra regione, e questo perché lo spaccato di
vita che può rappresentare ha legami autentici con questa nostra terra.
Spartaco si farà amare solo se riuscirò a rendere il suo mondo, tipicamente
toscano, in un mondo percepibile a tutti. Universale. Ma questo è molto
difficile.
- A quali altri ’ragazzi europei’ assomiglia Spartaco?
A quali altri ragazzi europei assomiglia?... Non Lo so. Di sicuro a qualche
ragazzo nato dalla letteratura americana, che ho amato e che tuttora amo
molto. Per l’Europa mi piace immaginarlo come quella teppistella di "Zazie
nel metrò" di Raymond Queneau, anche se lei vive a Parigi e non ha paesaggi così vasti all’orizzonte come quelli di campagna in cui spazia Spartaco.
Spartaco è vivace e curioso, e gioca, a modo suo, in una minestra di adulti
con il cervello spappolato dalle abitudini. Mi è piaciuto tanto il ragazzo
di "Ritratto dell’autore da cucciolo" di Dylan Thomas, che ho letto e
riletto, in periodi molto diversi, e mi ha lasciato sempre qualcosa di
nuovo. E’ difficile dirlo. Spero in fondo, che Spartaco sia Spartaco, che le
sue storie abbiano qualcosa di orginale perché legate a un mondo che altrove
non esiste.
- Chi ha convinto Australi a scommettere su "Zia Oria"?
Nessuno mi ha convinto. Non sono uno che ragiona molto con gli altri sulle
storie da scrivere. Le idee covano dentro anche per molti anni, poi inizio a
scrivere e cerco di chiudere il cerchio portando a conclusione una storia.
Almeno io lavoro così, conoscendo bene il punto di partenza, ma non avendo
mai chiaro lo sviluppo e come andrà a finire. Resta un gioco e non mi prendo
mai troppo sul serio. Come ruolo di scrittore, naturalmente. La vita è ben
altro.
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