Io, Felicia. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato
- Autore: Mari Albanese e Angelo Sicilia
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
“In Sicilia non possono esistere mezze misure, devi scegliere da che parte stare”.
Felicia Bartolotta è la piccola donna con indosso l’abito nero, un lutto che non ha mai smesso di portare, con il suo volto pieno di umanità e dolore mai lenito (la bellissima foto in copertina racconta tutto di lei), che ha avuto un unico dovere nella sua vita: non far dimenticare il sacrificio del figlio Peppino. Una donna piena di coraggio, fermezza e amore. Una vicenda ormai diventata storia di coraggio civile e coraggio personale, come quella di Francesca (Francesca Serio. La madre) la bracciante, madre del sindacalista socialista Salvatore Carnevale ucciso dalla mafia a metà degli anni Cinquanta, che non smise di chiedere giustizia per il suo unico figlio.
Dal passato al presente, drammatici fatti hanno consegnato ritratti e storie di grandi donne siciliane alla nostra cultura. Le loro vite ci hanno emozionato e continuano a farlo; si è scritto sulla loro forza d’animo e sulla loro saggezza e tanto si scriverà ancora; donne indimenticabili, fiere, indomabili che hanno saputo “ingoiare le lacrime” e continuare a sorridere. Io, Felicia. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato (Navarra Editore, 2021) è un libro voluto fortemente dai due autori, interamente dedicato a lei, al suo esempio di compostezza e forza. Mari Albanese, laurea in filosofia, insegnante, dirigente comunista, scrittrice (Diario inquieto di un’insegnante precaria), impegnata nel sindacato e nei movimenti antimafia, e Angelo Sicilia, militante di sinistra, laurea in economia e puparo per scelta e vocazione, si sono conosciuti alle udienze del processo Impastato nell’Aula bunker di Palermo.
Per Mari, che aveva conosciuto Felicia quando era una giovane studentessa di Filosofia, e Angelo era giunto a distanza di tanti anni dalla morte di Felicia, il tempo della sua memoria, della bambina che amava l’estate e della madre sempre accogliente. La sua storia di resistenza metterà in luce attraverso la conversazione registrata molti anni fa, nella bellezza della sua lingua, il dialetto, le sue debolezze, la sua determinazione, la sua ribellione, il suo profondo amore per i figli.
“Non lo sapevo ancora che la sua memoria e il suo coraggio avrebbero accompagnato la mia professione d’insegnante, che le avrebbe dato addirittura un senso.”
Lei, Felicia, è stata la prima custode, scrive Luisa Impastato nella prefazione, della memoria di Peppino, una memoria storica che decise di condividere con i giovani, con i bambini delle scuole, con le tante persone che arrivavano a Cinisi chiedendo di sapere, di conoscere. Lei che per la disperazione di quel figlio ucciso barbaramente che non era riuscita a proteggere, abbandonata al dolore, si picchiò sulla testa, colpo dopo colpo, tanto che i pugni le procurarono due ematomi al cervello: finì in coma e un lungo intervento chirurgico la riportò in vita. Felicia era figlia di un impiegato comunale, era nata in una famiglia nella quale non mancava nulla. Andò a scuola fino alla quinta elementare, se si voleva continuare a studiare, racconta, bisognava andare in collegio dalle suore e lei non volle. I divertimenti per una bambina nata nel 1916 erano la campagna e il mare d’estate. Il padre era un uomo che leggeva e seguiva la politica anche se dichiarava di non capirla. I giornali li comprava ogni giorno “e la delinquenza non apparteneva alla sua famiglia”. Ebbe il coraggio da giovane donna di mandare a monte, poche ore prima, il matrimonio con un ragazzo americano, perché sentiva di non amarlo. Conobbe Luigi, se ne innamorò perdutamente e negli anni di matrimonio sopportò la sua aggressività. Era un uomo, racconta, con poca pazienza, anche con i figli, infatti spesso Felicia si frapponeva tra lui e i bambini prendendo le legnate.
Racconta di Peppino, “aveva occhi furbi e vispi e si intuiva che era un bambino intelligente”, di quando allontanato di casa frequentò il liceo classico e si iscrisse a Filosofia all’Università di Palermo. Teneva comizi, scriveva e diffondeva le sue idee. Leggeva sempre; quando prestò servizio militare un capitano dell’esercito gli controllava i libri. Dopo la sua uccisione, in una situazione di emarginati nel proprio paese, racconta Felicia, lei non volle subito accettare di costituirsi parte civile per paura che la mafia colpisse l’altro suo figlio, Giovanni. Il lavoro d’indagine di Chinnici prima, poi di Borsellino e di Caponnetto nell’individuare i responsabili di quell’orrendo omicidio mafioso, l’hanno poi convinta. Il resto è tutto scritto nella nostra storia. Fino alla fine dei suoi giorni ha vissuto nel ricordo del figlio, della sua militanza contro la criminalità, nella memoria del suo sacrificio, e a voler sapere e conoscere della vita di Peppino Impastato sono venuti in tanti da tutto il mondo.
Io, Felicia. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato
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