Junky
- Autore: William Burroughs
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2023
Di William S. Burroughs Adelphi ha in catalogo già quattordici titoli, trattando lo scrittore come uno tra i più importanti narratori del Novecento americano statunitense e lo dimostra l’uscita del libro Il mio passato è un fiume malvagio del 2022 e, dopo pochi mesi, questo Junky (Adelphi, 2023, traduzione di Andrew Tanzi), una delle più accurate e strazianti ricostruzioni letterarie di cosa significasse essere un tossicodipendente negli anni Cinquanta. Il tutto è narrato con una sincerità sconcertante che rende il libro attuale anche nel nuovo millennio.
Inizialmente il libro aveva come titolo Junk, in inglese “spazzatura”. Fu pubblicato dall’ editore Carl Salomon, venduto nelle edicole e tra i libri "proibiti".
Era scritto sotto pseudonimo da un certo William Lee.
Tale fu l’interesse per questo romanzo-confessione, che in seguito venne portato nelle librerie col titolo Junkie, per rendere meno aspro un tema già scabroso di suo.
Nel 1964, Carl Solomon, nella prefazione scrive che queste “Confessioni di un tossicodipendente irredento” - sottotitolo che nel tempo ha avuto sempre meno peso, sembrando una scopiazzatura delle “Confessioni di un oppiomane” di Thomas de Quincey - che non c’era più bisogno di pseudonimi, perché era nato un nuovo e originale narratore il cui nome per esteso era William Seward Burroughs.
Lo scrittore Norman Mailer lo consacra come il Jean Genet americano. Ma in realtà Burroughs proveniva da una famiglia borghese, era laureato a Harvard, non aveva il background maledetto di Genet, e poté sempre contare su una rendita familiare, anche se cambiò diversi lavori, che duravano pochissimo. Entrò nel mondo della tossicodipendenza per curiosità e noia e perché non voleva affrontare la verità su sé stesso: la sua omosessualità.
In Junky, tradotto in italiano in modo splendido da Andrew Tanzi, facciamo la conoscenza di Bill che gira per i bar di Manhattan a caccia di eroina perlopiù, ma anche di marijuana, di cocaina.
La parte newyorkese è scioccante perché Bill (che poi non era che un alter ego di Burroughs che scriveva delle sue giornate: in realtà mai veramente sincero, perché lasciava da parte il fatto di essere un laureato borghese). Assistiamo quindi a continui appostamenti per trovare spacciatori che potessero provvedere al suo bisogno impellente (e continuativo) di avere eroina in vena.
I soldi venivano sottratti a persone brille, che dormivano in metropolitana, dopo una serata di bagordi con i colleghi. Lui, con l’aiuto di altri complici, adottava una precisa strategia: tenevano il giornale Times aperto come schermo, quindi guardavano nelle tasche se potevano trovare dollari sfusi, oppure andavano direttamente alla ricerca del portafoglio.
Quando il colpo andava a segno si poteva arrivare a dieci dollari, che bastavano per la razione quotidiana.
Il taglio di questa prima parte del libro ci dà la visione di una New York sporca, dove le persone abbienti non abitavano ancora a Manhattan, un posto desolato pieno di bar infimi dove era facile trovare informatori che potevano incastrarti in molti modi.
I protagonisti sono Bill e gli amici-complici, perché nella tossicodipendenza il concetto di amicizia è molto relativo: il buco nelle vene, è quella la cosa più importante.
La maggiore preoccupazione per loro era la prospettiva di non trovare “roba” per mancanza di soldi. Il rischio, di conseguenza, era la possibilità di passare qualche giorno in astinenza. La mancanza di eroina portava a dolori, crampi e totale mancanza di appetito. I giovani drogati che giravano per Times Square erano di una magrezza sconcertante e il loro pensiero dominante era quello di finire in gattabuia.
Le capsule di eroina costano tre dollari l’una e al giorno ne servivano almeno tre.
Più delle mie parole c’è in piccolo passo che dice molto su questa parte iniziale del libro, ambientata in una New York che puzzava di urina. A Manhattan la puzza era talmente insopportabile che si stava nei bar il più possibile per non sentirla.
Burroughs scrive:
Ormai mi bucavo ogni giorno. Herman si era trasferito nel mio appartamento in Henry Street visto che non c’era più nessuno in grado di pagare l’affitto della casa che aveva condivido con Jack e Mary. Jack si era fatto beccare durante un colpo...e si trovava nel carcere del Bronx. Mary era andata in Florida con un pappone. A Herman non passava l’idea di pagare l’affitto...Aveva sempre vissuto negli appartamenti degli altri.
La seconda parte del romanzo è ambientata a New Orleans. Città piena all’inverosimile di turisti, scioperati e "checche" (si è preferito lasciare la versione originale, senza tenere conto del “politicamente corretto” e la parola viene ripetuta molto spesso, cosa oggi impensabile nella comunicazione social).
In questa seconda parte ritornano sempre le solite dinamiche: l’angoscia dell’astinenza, la ricerca di spacciatori, ma la scrittura si fa più sinuosa, come se Burroughs cominciasse a tenere conto delle sue pulsioni omoerotiche, anche se aveva una moglie e un bambino.
La polizia a New Orleans sembra meno repressiva, ma eccessivamente burocratica, con il risultato che fa perdere un sacco di tempo a persone che già arrivavano in centrale in crisi di astinenza.
La parte finale del romanzo-confessione è ambientata in Messico, dove nella vita reale Burroughs giocò a fare Guglielmo Tell con la moglie: premette il grilletto della pistola mirando alla mela posata sulla testa della donna. Erano ubriachi, la pallottola colpì la donna, che morì all’istante, con strascichi giudiziari ancora oscuri.
È l’unica parte del libro dove non si parla di farsi di droga. A quel punto Burroughs e gli altri tossici messicani tenevano lontane le crisi di astinenza con gli antistaminici e questa ammissione all’epoca fu importante anche per i medici che studiavano gli effetti terribili dell’astinenza.
In un passo troviamo un Burroughs, ormai dichiaratamente omosessuale, che racconta:
Il ragazzo conosceva un albergo...Ripiegai i pantaloni, li lasciai cadere su una sedia. Lasciai cadere la camicia e le mutande sulla pistola. Mi sedetti sul letto nudo e guardai il ragazzo mentre si spogliava...si levò la camicia...aveva la pelle liscia colore rame. Si levò le mutande, si girò e mi sorrise... più tardi ci fumammo una sigaretta, spalla contro spalla, sotto le coperte.
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