Kafka. Una biografia
- Autore: Gérard-George Lemaire
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Edizioni Lindau
- Anno di pubblicazione: 2014
Una vita compresa tra due date: Praga, 3 luglio 1883 – Kierling (sanatorio), 3 giugno 1924. Va per tutti così, ma quanto al resto Franz Kafka aveva poco o niente a che spartire col vivere e “sentire” comuni. Forse perchè la sua esistenza è stata spesa a confrontarsi col demone interiore della scrittura, dal tormento che essa gli dava. Faceva e disfaceva di continuo, posseduto da un’idea quasi nevrotica di perfezione, la medesima che gli impediva di ultimare i suoi scritti, rendendone impossibile la pubblicazione.
La fama letteraria di Kafka è postuma, discendente dai temi obliqui che ha trattato, tanto contigui all’allegoria filosofica da sfiorare il paradigma, da accogliere la perenne sfida con il sottile, l’indicibile, la trascensione del reale nel visionario e viceversa.
Appena tre romanzi (Il Processo, Il Castello, America) e una selva di frammenti, lettere, diari, aforismi, racconti (pochissimi dei quali editati in vita), sono comunque bastati a fare del ceco, sotto molti aspetti, un precursore: dell’esistenzialismo quanto del così detto “realismo magico”.
E adesso prendete nota: malgrado si incentri quasi esclusivamente sugli aspetti biografici, il libro che Gérard-George Lemaire gli dedica (“Kafka. Una biografia”, Lindau, 2014) è quanto di più completo e suggestivo possa capitarvi di trovare in circolazione. Il ritratto che ne affiora è quello di un uomo - e, di rimando, un autore - “fratto”, controverso, dotato parimenti di angoscia ed ironia.
Un uomo che scriveva fin quasi a sanguinare (se mi è concessa la metafora) perché non avrebbe potuto fare/vivere altrimenti.
Un uomo che scriveva fino al punto di non ritorno, tanto da sostanziare persino gli amori della sua vita alla sua brama di scrittura. Kafka rifuggiva, in fondo, dalla corporeità, sotto un aspetto psicanalitico, nella relazione sentimentale ciò che più gli interessava era di farsi accettare come scrittore.
Storico e critico d’arte, il francese Lemaire riesce a maneggiare, insomma, un personaggio complesso, e a farlo con tratto appassionato e puntuale. Assumendo Kafka a emblema persino del crepuscolo di un’epoca - quella della Praga ebraica e germanica-, rivelandone quel dolore, quegli slanci, soprattutto quello straniamento, quelle lacerazioni interiori, rimando al "sentire ontologico" amplificato delle esistenze più geniali.
Mi piace chiudere con la raffigurazione intima che da dello scrittore, Dora Diamant, la sua ultima, devotissima, giovane, compagna. E’ riportata a pagina 273 di questo libro, e mi pare riesca a sbozzarne in modo limpido l’essenza interiore.
“Una volta cominciò a scrivere dopo cena, scrisse così a lungo che mi addormentai sul sofà, nonostante la luce elettrica. D’un tratto mi si sedette accanto, io mi svegliai e lo guardai. Nel volto era avvenuto un chiaro cambiamento; le tracce della tensione intellettuale erano così evidenti che i tratti del viso ne erano completamente trasformati. Uno dei suoi ultimi racconti, ‘La tana’, fu scritto in un’unica notte. Era inverno, cominciò la sera presto e al mattino aveva finito, poi ci lavorò ancora. Me ne parlò, un po’ scherzando, un po’ seriamente”.
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