L’agente del caos di Giancarlo De Cataldo

Se vuoi imitare Ellroy un pochino devi esserlo. “L’agente del caos” di Giancarlo De Cataldo, più che imitare, riprende American Tabloid, forse il capolavoro di Ellroy, con altre ipotesi e da prospettive diverse. L’idea che i poteri forti USA da un lato reprimessero e dall’altro, sottobanco incoraggiassero eversione, contestazione e diffusione delle droghe nei movimenti giovanili è fatto noto.

Nelle storie di Ellroy e un po’ di Don Winslow la magistrale presentazione di questo è non solo la scenografia delle storie narrate, ma la ragione dell’esistenza dei protagonisti. In L’agente del caos il tentativo c’è, ma una ambiguità di fondo, l’incerta identificazione del protagonista lo rende meno efficace. Di chi si parla nel libro, dello scrittore che narra in prima persona o di Jay Dark, l’agente del caos, creatura border line plasmata dal dottor Kirk, ex nazista con occasionali deliri di onnipotenza che esprime il suo cinismo assoluto, accampato negli angoli più oscuri dei poteri forti.
Se vuoi essere Ellroy, le analogie con American tabloid sono tante, non per forza devi avere il suo passato off limits, ma non puoi neanche provare a riciclare un sessantotto, soft ed un po’ svaccato, come accesso autorizzato per narrare una storia dove ci sarebbe troppo di più.

E se l’autore vuole rubare la scena al protagonista deve farlo con convinzione e magari anche un pizzico di cattiveria. L’occasione forse ci sarebbe, e nell’ultima parte del libro il lettore la aspetta pagina dopo pagina, ma non la troverà. Trova solo l’epilogo di una storia che per quanto avvincente non fa che ripetersi, mutando i rapporti di scala e le dimensioni dell’azione. E non aiutano i personaggi minori, che seppur disposti sapientemente, non trovano mai vita propria. Dark, spesso invidiabile, non riesce mai ad essere seducente e risulta sempre prevedibile, persino nel finale quando forse si identificherà con un suo improbabile alter ego, o forse no.