L’albero dei Filipponi
- Autore: Dorotea Memoli Apicella
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
“L’albero dei Filipponi” (Marlin Editore 2015) di Dorotea Memoli Apicella, è il nuovo romanzo storico dell’autrice salernitana ispirato dalla riscoperta del diario tenuto da Benedetto Cafaro, avo della scrittrice, che racconta la storia di una famiglia patriarcale del Sud d’Italia e la vicenda di cinque fratelli emigrati negli USA che tornarono in Italia per partecipare alla Grande Guerra.
Nel gennaio del 1799, Filippo Cafaro, dopo la notizia della proclamazione della Repubblica Partenopea con l’entrata dei francesi a Napoli, aveva segato un ramo di pioppo portandolo in processione per le vie del paese,
“seguito dai compagni festanti e osservato dai contadini sbalorditi e ignari di quanto stava accadendo”
Anche a Pertosa, paesino in provincia di Salerno che si erge su una collina ricca di uliveti, vigneti e giardini, famoso per le sue grotte, come in tutte le piazze del Regno si piantava il pioppo, scelto dai francesi come l’albero della Libertà, ma in verità risalente ai patrioti americani che avevano combattuto per l’indipendenza. Il giovane Filippo era figlio di don Antonio Cafaro, “cavaliere di specchiata rinomanza”, e apparteneva a una famiglia che vantava una stirpe insigne, perché i Cafaro discendevano da un nobile crociato genovese i cui figli si erano trasferiti nell’Italia del Sud approfittando della presenza di un importante parente benedettino nella famosa Abbazia limitrofa. I Cafaro abitavano a Tempatornese, nel Casale Soprano, situato nella parte settentrionale di Pertosa, formato da un agglomerato di case addossate tra loro, separate da stretti viottoli e nel cuore di un ricco oliveto. Filippo era una testa calda, un ribelle dotato di rara intelligenza, assetato di novità e libertà, il quale non aveva mai tollerato né il rigore dell’educazione paterna né la presenza dell’arcigna matrigna “bizzoca saccente”. Grazie agli insegnamenti dei dotti padri benedettini, Filippo si era applicato con passione verso gli studi umanistici, appassionandosi alla lettura dei classici e al culto dei personaggi dell’antica repubblica romana che avevano saputo morire per la libertà e per la giustizia. Inoltre Filippo aveva un’affinità spirituale con lo zio materno, l’avvocato Vincenzo Lupo, d’idee liberali. Grande era stata la delusione quando solo pochi mesi dopo, il 14 giugno, la Repubblica Napoletana era stata dichiarata finita: le orde feroci del Cardinale Ruffo si dirigevano verso Napoli mentre la flotta dell’ammiraglio inglese Horatio Nelson bombardava la costa tirrenica. La folla imbestialita urlava contro i patrioti:
“la matta bestialità si era incarnata nei Lazzaroni e nei Sanfedisti”. I Borboni avevano riconquistato il potere, Filippo doveva abbandonare la terra natia, ma prima di fuggire verso Napoli il giovane aveva issato di nuovo l’Albero della Libertà, ponendovi in cima un grande cappello e inchiodando alla base un cartello sul quale il ragazzo aveva scritto a caratteri grandi, in modo che si leggesse a distanza: “Cittadini, vi lego il mio odio contro la tirannide e vi saluto, vostro Filippo”
Mentre Filippo viaggiava per mare verso la Francia, Vincenzo Lupo la sera del 20 agosto affrontava con fierezza la morte salendo sul patibolo. Molti contadini si erano riuniti intorno all’Albero della Libertà, erano ignoranti e non capivano le parole scritte nel cartello però da quel momento in poi chiamarono l’albero “Filippone”, in ricordo di quel ragazzo che non aveva fatto male a nessuno il quale era approdato in America, “terra ideale per chi ama la libertà”. Se nella fantasia popolare Filippo rimase come un mito, per la sua famiglia invece fu una rovina. A don Antonio Cafaro vennero confiscati la maggior parte dei beni, perché era sempre il padre di un traditore del Regno, di un sovversivo, di un propalatore di eresie, e l’episodio dell’Albero si impresse come un marchio su tutta la stirpe. L’ultimo figlio di don Antonio, Luigi, diede inizio a una nuova generazione, nota più con il soprannome di “Filipponi” che con il vero nome dei Cafaro, e “questo fu l’unico segno distintivo lasciatogli in eredità dalla stirpe precedente”
In questo romanzo di famiglia, l’autrice, tra verità e finzione, racconta due secoli di storia, le imprese garibaldine, le lotte risorgimentali, le speranze dei primi anni del Novecento in una Pertosa dove spirava un’aria più leggera grazie al miglioramento economico di diverse famiglie di emigranti e alla diffusione della luce elettrica in tutte le case, lo scoppio della I Guerra Mondiale, il Dopoguerra e un nuovo inizio al di là dell’Oceano.
“Della sua partecipazione alla guerra Benedetto Cafaro lasciò un diario che scrisse in trincea giorno dopo giorno, nei ritagli di tempo, durante i lunghi anni del servizio militare”
L'albero dei Filipponi
Amazon.it: 15,20 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’albero dei Filipponi
Lascia il tuo commento