L’arte della resa
- Autore: Holger Afflerbach
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2015
Vittoria o morte: potrebbe essere esplicitato così il fil rouge de “L’arte della resa”, di Holger Afflerbach (Il Mulino, 2015, collana Biblioteca storica, pp. 296, euro 25,00), che, poi, non è un motto, ma è stato per secoli il destino dei combattenti, almeno fino al tardo medioevo.
L’onore dei guerrieri imponeva nell’antichità di scegliere la morte se non si otteneva una vittoria. Cadere sul campo o soccombere successivamente per mano dei nemici vincitori; restava quello il destino delle schiere perdenti e alla loro gente toccava la schiavitù. Solo da poche centinaia di anni le guerre moderne hanno introdotto la figura dei prigionieri e lo spettacolo delle relative colonne lacere. I conflitti del Novecento hanno anche visto la creazione di grandi campi di concentramento, dove custodire per anni i nemici vinti.
Il concetto della resa onorevole si è quindi affermato molto più tardi di quanto si possa pensare. Holger Afflerbach, docente di Storia dell’Europa centrale nell’Università di Leeds, esamina l’evoluzione della storia della capitolazione,
un aspetto ben poco approfondito se si vuole.
Vincere o morire era un codice d’onore negli eserciti antichi, sebbene col tempo si sia cominciato a interpretarlo senza tanto fanatismo. La regola ha cominciato decisamente a mutare, infatti. È diventato pratica comune che i cavalieri facessero prigionieri i parigrado nemici, anziché ucciderli. Allo stesso tempo essere catturati divenne "un’eventualità socialmente accettabile" e l’affermazione del cristianesimo in tutte le sue confessioni comportò la diffusione di considerazioni etiche che mitigavano la condotta dei vincitori, dando spazio ad altre valutazioni di opportunità, che suggerivano di trattare i vinti con clemenza. Si andò affermando, nel contempo, il diritto di gettare le armi quando la vittoria era impossibile, senza che questo ne compromettesse l’onore. Lo si riconosceva se non altro a chi aveva combattuto strenuamente.
Le guerre tra la fine del XV secolo e la Rivoluzione francese furono soggette a una rapida evoluzione, che condizionò la maniera in cui i soldati ponevano fine ai combattimenti. Intorno alla metà del XVII secolo, la progressiva statalizzazione degli eserciti mutò significativamente i conflitti. Lo stesso effetto ebbero le grandi innovazioni militari, dall’introduzione delle armi da fuoco alla costruzione di nuovi tipi di fortificazioni e al notevole ampliamento degli eserciti europei. In parte, considerata la diffusione di truppe di mestiere assoldate, gli sconfitti venivano arruolati tra i vincitori.
Sono numerose le dinamiche prese in esame da Holger Afflerbach: l’onore del soldato e il suo istinto di sopravvivenza, il rapporto tra le condizioni di resa imposte dal vincitore e la disponibilità del vinto ad accettarle. Il volume percorre la storia dall’età della pietra al presente, dedicandosi soprattutto alle vicende belliche europee, per non allargare esageratamente il campo d’indagine. Per lo stesso motivo, l’autore assume come "osservatorio privilegiato" le diverse concezioni dell’onore dei soldati, dalla forma più estrema, che li spingeva a lottare fino alla morte.
La resa, tuttavia, dipende da certi fattori. Uno, per cominciare, è che il vincitore accetti la dichiarazione di resa dell’avversario, eventualità tutt’altro che scontata. Non a caso, Churchill definiva i prigionieri di guerra
“quelli che, non essendo riusciti a ucciderti, ti implorano di non ucciderli a tua volta”.
È facile risparmiare la vita a chi un attimo prima ha attentato alla nostra? Sul campo, anche per il vincitore la politica migliore resta venirsi incontro: dimostrarsi pronti a risparmiare la vita al nemico può spingerlo più facilmente a preferire la sconfitta alla morte.
È chiaro che arrendersi ha un significato solo in una guerra "sistemica", che accetta delle regole. Quella "extrasistemica" non ne riconosce affatto e la "asistemica", come le campagne di conquista e repressione condotte dai romani, era violenza assoluta e non conosceva regole all’infuori del potere del più forte.
L’arte della resa è pertanto un’elaborazione progressiva, dai massacri a scopo di saccheggio della preistoria, alla guerra brutale guai ai vinti dell’antichità. Nel medioevo incomincia a delinearsi una nuova condotta nella vittoria e nella sconfitta, anche se limitata ai combattenti nobili, che garantiva al vincitore un guadagno e al vinto di uscirne salvo. Nell’età moderna la clemenza si estese a tutto l’esercito e la Rivoluzione francese codificò i progressi e introdusse misure tese a preservare il vinto dalle azioni arbitrarie del vincitore.
Prima delle due guerre mondiali, queste norme vennero perfezionate dal punto di vista giuridico internazionale e si può dire che siano state generalmente osservate nei teatri bellici europei, salvo casi drammatici, ma limitati. Del resto, l’ammiraglio inglese Fisher, Primo Lord del Mare nel 1914-18, non aveva avuto dubbi nel dirsi scettico sulla possibilità di moderare gli eccessi di violenza:
“umanizzare la guerra? Sarebbe come umanizzate l’inferno”.
L'arte della resa. Storia della capitolazione
Amazon.it: 23,75 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’arte della resa
Lascia il tuo commento