L’effigie dell’abate Gioacchino da Fiore
- Autore: Pasquale Lopetrone
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
Giacomo Greco, monaco cistercense, nella sua opera Chronologia del 1612, riporta l’immagine di Gioacchino da Fiore, riproducendo quanto rappresentato sulla lastra tombale posta nella cappella della Vergine della chiesa abbaziale di San Giovanni in Fiore.
Pasquale Lopetrone, in L’effigie dell’abate Gioacchino da Fiore, richiama tratti biografici di Gioacchino che, avviato agli studi per lavorare alla corte di Palermo, anziché scegliere una vita ricca e agiata, decise invece di dedicarsi alla vita monastica. L’abate conosceva approfonditamente i testi sacri e aveva una potente eloquenza, che gli servì per parlare con autorevolezza a principi e re. La sua fama era grandissima e lo stesso Riccardo Cuor di Leone, che nel 1191 era di passaggio a Messina mentre andava alle crociate, volle interpellarlo per ottenere notizie sull’esito della crociata e sul significato di alcune immagini dell’Apocalisse.
Come riportato dal cronista del re Ruggero di Howden, nelle Gesta regis Ricardi:
«C’era in quel tempo in Calabria un abate dell’ordine cistercense, di nome Gioacchino, abate di Corazzo; avendo spirito profetico, predicava al popolo le cose future. Il re d’Inghilterra ne ascoltava volentieri le profezie, la sapienza e la dottrina. Era infatti istruito nelle sacre scritture e interpretava le visioni apparse al beato Giovanni evangelista, come questi stessi racconta nell’Apocalisse, scritta personalmente di suo pugno».
Lopetrone riporta nel suo libro un’ampia documentazione iconografica, comparando l’immagine riprodotta in un affresco della Cattedrale di Santa Severina, con l’immagine del Greco del 1612 e con le risultanze delle analisi sullo scheletro dell’abate. L’arcivescovo Luca Campano descriveva l’abate come persona di grande fascino e carisma: “guardando il suo volto, avevamo l’impressione che fosse un angelo a presiedere la nostra assemblea”, nonostante la semplicità degli abiti che usava, spesso consunti.
Il disegno di Gioacchino, fatto dal Greco, è analizzato da Lopetrone nella sua profonda simbologia e nelle sue linee di forza, con riferimento alle misure pitagoriche e alla sezione aurea. Attraverso un’analisi grafica e una comparazione di testi sacri e riferimenti bibliografici, Lopetrone ci fa vedere come l’immagine di Gioacchino sia rappresentata sotto forma di mandorla-seme germogliata, proprio come l’immagine del mandorlo prefigura Cristo «La Parola di Dio» (Ap 19, 13).
La lastra tombale a cui il Greco si era ispirato, nota bene Lopetrone, riporta le fattezze di un uomo con gli occhi vigili e le mani aperte, in atteggiamento vitale, probabilmente frutto di una sorta di ritratto guidato dallo stesso Gioacchino, che voleva lasciare traccia di sé. L’effigie dell’abate Gioacchino da Fiore, per la ricchezza dei riferimenti bibliografici e per l’attenta analisi grafica operata, offre un importantissimo contributo allo studio dell’abate Gioacchino “di spirito profetico dotato”.
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