L’imperatore di Portugallia
- Autore: Selma Lagerlöf
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
"E nello stesso istante capì cos’era stato a fargli battere il cuore. E non soltanto questo: cominciò a intuire cosa gli era mancato per tutta la vita. Chi non sente battere il cuore nel dolore o nella gioia non può di certo essere considerato un vero essere umano."
Queste meravigliose parole forse riassumono meglio di qualsiasi altra considerazione il senso più profondo del romanzo L’imperatore di Portugallia di Selma Lagerlöf (Iperborea, 1991, trad. Adamaria Terziani).
Ennesimo gioiello creato dalla penna di quest’autrice unica nel suo stile, questo libro racconta dell’amore per la figlia di un padre, Jan Andersson, un povero contadino di un minuscolo paesino, Skrolycka, situato nelle sperdute valli della Askedalar nel Värmland, la contea della Svezia sudoccidentale dove l’autrice è nata e ha vissuto gran parte della sua vita. La storia è ambientata tra il 1860 e il 1870 circa e in quel periodo la povertà nelle campagne è molto diffusa anche in Svezia, dove una piccola casetta, un pezzetto di terra da coltivare e degli animali domestici da allevare sono per molti abitanti di quella regione i pochi beni a disposizione per vivere e alcuni di essi, come Jan, a stento riescono ad averli, ma spesso “finché il povero ha una casa, ha l’impressione di valere come tutti gli altri”.
Sposato da alcuni anni con Kattrinna (si tratta di una versione più antica dell’odierno nome di Katrina) originaria della località di Lagård, anch’ella di umili origini, Jan riceve non più giovanissimo la notizia che diventerà padre, evento che apre il romanzo e destinato a cambiare in modo profondo la sua umile esistenza. Jan infatti non ha mai ricevuto nulla di significativo fino a quel momento dalla vita, né in fatto di beni terreni, né in quello di gioie o almeno piccole soddisfazioni morali. La sua è un’esistenza dedita esclusivamente al duro lavoro nei campi e nella fattoria di proprietà del suo padrone Erik di Falla.
L’annuncio della gravidanza di sua moglie, che partorisce in una piovosa, ventosa e fredda giornata di fine agosto, lo coglie inizialmente alla sprovvista ed egli, all’inizio, non è felice di diventare padre, essendosi abituato a una vita solitaria fatta di faticoso lavoro quotidiano per guadagnare i pochi soldi necessari per vivere e perché ritiene che badare a un bambino sia soltanto un ulteriore peso per lui e in particolare per sua moglie.
Il racconto del giorno in cui sua moglie Kattrinna mette al mondo l’unico bambino della coppia, o meglio bambina, è davvero emozionante e si rivela l’evento che muove l’intera storia. In quel giorno Jan scopre un sentimento per lui del tutto nuovo, proprio nel momento in cui tiene in braccio per la prima volta sua figlia, come le parole citate che riassumono il senso del romanzo descrivono in modo mirabile. Egli si rende conto, con suo grande stupore in quello stesso giorno, di non aver mai prima di allora davvero amato qualcuno nella sua vita. Lui stesso dà il nome alla figlia: Klara Fina Gullenborg (che significa "bella, luminosa chiarezza", letteralmente Gullenborg "castello dorato", quasi a voler rafforzare il concetto) in omaggio al sole, i cui raggi vengono a illuminare la piccola mentre la tiene in braccio la mattina del giorno seguente davanti alla legnaia dove sua moglie l’ha data alla luce. La bambina è destinata ben presto a diventare la sua unica ragione di vita.
Klara cresce circondata dall’affetto dei suoi genitori e in particolare di suo padre, con il quale ella crea un legame speciale fatto di intesa, complicità e di un amore smisurato, in apparenza indissolubile. Trascorrono gli anni e la piccola cresce in intelligenza e bellezza fino a diventare una meravigliosa ragazza, autentico vanto dei suoi genitori. La serenità familiare che sembra raggiunta in casa Andersson, nonostante le ristrettezze economiche e il faticoso lavoro, viene messa a dura prova un giorno dalla morte del padrone Erik di Falla. Egli, nonostante fosse molto rigoroso e pretendesse il massimo da Jan, era un uomo onesto e la sua scomparsa a seguito di un tragico incidente (la caduta di un grande albero che lo schiaccia prima che egli possa mettersi al riparo) determina il passaggio delle sue proprietà, compreso il piccolo appezzamento di terra affidato a Jan, allo scaltro genero Lars Gunnarsson.
Uomo pratico e con pochi scrupoli, che ha sposato la figlia di Erik soprattutto per interessi economici essendo anch’egli di umili origini (e dunque per sfuggire alla povertà), egli si rende responsabile della morte di suo suocero ritardando l’invio dei soccorsi al momento dell’incidente, fatto noto a Jan e altre persone nel villaggio, ma che viene taciuto per mancanza di prove. Lars Gunnarsson obbliga la famiglia Andersson a pagare la somma piuttosto salata di duecento scudi per riscattare la casetta a loro donata dal vecchio proprietario, adducendo come pretesto una presunta clausola che imporrebbe il pagamento di tale somma in caso di scomparsa improvvisa di Erik.
Jan e la sua famiglia, non potendo contare sulla disponibilità di tale somma, lo implorano di lasciarli vivere in quell’abitazione dove hanno sempre vissuto e lavorato onestamente, ma ottengono solo una breve proroga. La figlia Klara Gulla, diminutivo con il quale viene chiamata, divenuta nel frattempo diciottenne, si offre di partire per Stoccolma in cerca di un lavoro che le permetta di guadagnare abbastanza, per poi poter tornare a casa entro la data stabilita dal nuovo proprietario e aiutare i suoi genitori nell’acquisto.
Tale soluzione viene considerata dalla famiglia Andersson l’unica possibile, ma getta nello sconforto Jan, costretto a separarsi per un lungo periodo dalla sua amata figlia. Ella rimane lontana da casa, non torna per tempo e inoltre non scrive, né lascia notizie ai suoi genitori da parte di altre persone, che nel tempo hanno avuto modo per lavoro di passare da Stoccolma prima di far ritorno a Skrolycka o nelle immediate vicinanze. I suoi genitori riescono a procurarsi comunque la somma per acquistare la casa, grazie a un grosso aiuto sul lavoro che suo padre fornisce alla famiglia di Lars Gunnarsson, ma Jan è addolorato dal mancato ritorno di lei.
Non vedendola più tornare con il trascorrere del tempo trova un’idea per difenderla e difendersi da quella che diventa una probabile e triste realtà, cioè che la figlia non è riuscita a far fortuna con un lavoro onesto e, peggio ancora, non desidera rivedere i suoi genitori.
Si inventa che ella sia approdata in un remoto paese al quale attribuisce il fantasioso nome di Portugallia, dove regnano la pace e la prosperità, del quale Klara Gulla è diventata l’imperatrice e quindi piena di importantissimi impegni.
Questo sarebbe il motivo che adduce ai suoi compaesani per il quale ella non può far ritorno a casa da lui e da sua moglie. Comincia a farsi chiamare "imperatore Johannes di Portugallia", più precisamente essendo il padre di un’imperatrice, abbandona il suo lavoro, se ne va in giro indossando in pubblico un abito sgargiante e portando un bastone, simbolo della sua "regalità", entrambi doni ricevuti dalla vedova di Erik di Falla, che ha ancora stima di lui. La sua non è una recita o una forma di esibizionismo, bensì un’alterazione della realtà dei fatti che usa in modo più o meno inconscio come forma di protezione dal dolore che la lontananza della figlia e le chiacchiere su di lei della gente provocano in lui, ma alla quale con il tempo finisce veramente per credere, tanto che tutti ritengono che sia impazzito. La misteriosa capacità che tuttavia nel frattempo egli acquisisce di predire alcuni eventi futuri gli permette di essere ancora in parte rispettato. L’unica che non crede alla sua pazzia, pur soffrendo più di qualsiasi altra persona nel vedere Jan ridotto in questa condizione, è sua moglie Kattrinna, come confermano le sue parole:
"Jan non è matto. Il Signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi perché egli non veda ciò che non potrebbe sopportare. Credo che di questo dobbiamo essere riconoscenti."
Tutti i giorni il vecchio di Skrolycka, come viene affettuosamente chiamato in alcuni passi del romanzo dall’autrice, si reca al pontile situato sul lago Duvsjö, dove approdano i battelli che collegano Skrolycka e le altre località situate nelle valli della Askedalar alle principali citta svedesi, nella vana speranza di veder arrivare sua figlia che proprio da quel pontile era partita. Il libro prosegue in questa struggente ma fantastica atmosfera per diversi capitoli fino al ritorno tanto atteso di Klara Gulla, che avviene realmente dopo ben quindici anni, ma di esso e degli eventi che si verificano in seguito è bene non parlare, per non svelare un finale davvero tutt’altro che scontato e da non perdere.
Nonostante l’opera sia ambientata in un contesto storico, sociale e culturale molto lontano da quello odierno, come in un vero classico l’autrice riesce a rendere attuale con straordinaria efficacia la storia, facendo partecipe il lettore in prima persona della vicenda, pur avvalendosi di una narrazione tradizionale in terza persona tipica delle fiabe. Quello che potrebbe essere un limite diventa invece la forza del romanzo, cioè la capacità di parlare di vincoli parentali e amichevoli, di emozioni e di sentimenti in apparenza di altri tempi, che invece attraverso la limpidezza, la saggezza e la dolcezza di un linguaggio classico in grado di rendere armoniosa la storia diventano ancora attuali anche per i lettori di oggi.
Ognuno può identificarsi in uno dei tanti personaggi narrati, da Klara Gulla, a Kattrinna, a Jan, a Erik di Falla e alla sua anziana e saggia moglie che scompare solo nella parte finale del libro; al pastore, biondo, giovane e bello, capace con i suoi sermoni di trasmettere con forza la sua fede cristiana alla piccola comunità che gli è stata affidata; ad Agrippa, un curioso signore con la passione per gli orologi a pendolo della Dalecarlia, regione storica della Svezia corrispondente all’odierna Dalarna, che gira a piedi per Skrolycka e altri paesi vicini allo scopo di smontarli e ripararli anche quando funzionano benissimo; a Lars Gunnarsson, il personaggio più oscuro e tormentato della storia, avido ed egoista; al vecchio Ola delle reti, con la passione per la pesca e amico di Klara; a suo figlio Linnart Bjornssön, che si riconcilia dopo alcuni contrasti con suo padre; al mercante di tessuti che regala alla bella figlia degli Andersson un meraviglioso vestito capace di farne risaltare la sua femminilità e bellezza; al garzone che lavora in una fattoria situata vicino a casa di Jan, dotato di una forza fisica fuori dal comune; al sacrestano della parrocchia di Skrolycka, che svolge un ruolo molto importante in ambito amministrativo sul territorio non solo da un punto di vista religioso, come ancora oggi avviene in Svezia e tanti altri personaggi.
La sensazione che il lettore avverte in merito a essi è che, come avviene d’altra parte in ogni romanzo scritto con magistrale bravura, nessuno sia davvero marginale, per quanto il protagonista e i personaggi principali siano ben identificabili, ma che siano tutti importanti nella storia nella creazione di un mosaico meraviglioso, nel quale ogni tassello è inserito al posto giusto e senza il quale la narrazione ne soffrirebbe.
Quello che emerge dalla storia è soprattutto il senso dell’esistenza di un’autentica comunità, dove tutti si conoscono e, nonostante le innegabili antipatie e i dissapori che a volte si celano dietro l’apparente facciata di una buona e formale educazione cristiana, c’è una partecipazione reale e attiva alla vita del paese, come testimoniano la presenza numerosa alle funzioni religiose in chiesa, alle partenze e agli arrivi sul pontile, alle feste, talvolta organizzate in determinati momenti dell’anno e altre volte improvvisate. Un mondo forse che non esiste più, nemmeno nell’odierna Svezia, ma che l’autrice rievoca attraverso le pagine di questo libro non sotto forma di uno sbiadito ricordo, ma come un’immagine realistica, una vivida testimonianza di una civiltà che ha tanto da insegnarci soprattutto nella grandezza, nell’autenticità e nella purezza dei sentimenti e delle emozioni provate dalle persone, pur nella loro semplicità.
Pubblicato per la prima volta in Svezia nel 1914 con il titolo originale di Kejsaren av Portugallien e in Italia da Iperborea nel 1991 con l’ottima traduzione e introduzione di Ada Maria Terziani, L’imperatore di Portugallia non solo è uno dei libri più letti di Selma Lagerlöf, ma ancora oggi figura tra i dieci titoli più venduti nell’intero catalogo di questa eccezionale casa editrice. Un successo editoriale davvero meritato.
Esistono anche tre film ispirati a tale romanzo: il più famoso di essi, di produzione americana del 1925, intitolato Tower of Lies, è stato diretto da Victor Sjöstrom, il grande attore e regista svedese famoso per l’indimenticabile interpretazione del professor Isak Borg nel celebre capolavoro di Ingmar Bergman Il posto delle fragole. Questo film è praticamente introvabile. Le altre due versioni cinematografiche svedesi sono meno conosciute.
Selma Ottilia Lovisa Lagerlöf (1858-1940), prima donna a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1909, ci racconta una storia in apparenza semplice, ma che in realtà non è ovvia e che ci insegna cosa sia l’amore autentico, capace di trasformare davvero in meglio la vita di un essere umano, attraverso un racconto che non è affatto didascalico e moralista, bensì sotto forma di fiaba che è testimonianza di vita vissuta. Infatti pur non essendosi mai sposata, né avendo avuto figli, l’autrice riesce a immedesimarsi in modo meraviglioso nel sentimento di un genitore e in particolare di un padre, pur essendo lei una donna.
Selma Lagerlöf ha svolto nella sua vita prima per tanti anni la professione di maestra elementare, per poi dedicarsi in seguito esclusivamente alla scrittura, due lavori che richiedono particolare pazienza, spirito d’osservazione e sensibilità verso gli altri, prima ancora che una tecnica. I suoi personaggi nascono principalmente dalla conoscenza reale di persone che sono state fonte di ispirazione per le sue storie.
Considerata spesso da una parte della critica italiana, come altri famosi scrittori nordeuropei, un’autrice importante soprattutto nella cultura dei paesi scandinavi, può certamente essere annoverata invece tra i grandi nomi della letteratura mondiale dell’Ottocento e del Novecento, come il riconoscimento del Premio Nobel, giustamente assegnatole, certifica.
A distanza di trent’anni dalla sua prima uscita in Italia questo piccolo capolavoro è ancora di straordinaria attualità, con la sua capacità di rievocare atmosfere fiabesche tipiche delle saghe, che Selma Lagerlöf sa raccontare come pochi altri scrittori, ma nel quale alterna una scrittura misurata, lineare di una chiarezza esemplare, a una più evocativa, simbolica, con richiami all’elemento fantastico, ma anche mistico e soprannaturale, in un meraviglioso connubio che rende la lettura appassionante, a tratti divertente e persino commovente fino alle lacrime, che non sono tuttavia di dolore, ma di gioia.
Un libro forse più adatto a persone idealiste, un po’ visionarie e sognatrici proprio come Jan Andersson di Strolycka, sempre più rare nel mondo di oggi, ma che può essere apprezzato sia da giovani che da adulti dotati di maggior senso pratico e magari anche disillusi dalla vita, che potrebbero scoprire attraverso queste pagine un punto di vista diverso sull’esistenza umana. Saper cogliere la magia della vita determinata dalla forza dell’amore non significa infatti essere fuori dalla realtà, ma avere invece uno sguardo più profondo, sensibile e spirituale che nella instancabile ricerca di un senso alla nostra esistenza può aprirci le porte al trascendente, all’infinito e quindi all’eternità.
L'imperatore di Portugallia
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