L’inchiesta
- Autore: Philippe Claudel
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2012
Traendo spunto dai drammatici fatti di cronaca che hanno sconvolto la Francia tra il 2008 e il 2009, Claudel tesse in questo romanzo una delicata e sapiente riflessione filosofica sull’odierna condizione umana. (Note di copertina)
Istruzioni per l’uso, prima di addentrarsi tra le pagine dell’ultimo romanzo di Philippe Claudel (“L’inchiesta”, Ponte alle grazie 2012) - Dare una ripassatina a Kafka e Becket (ma non solo, come vedremo più avanti), munirsi di bussola (per quel che vale), quindi prepararsi a essere sballottati un po’ qua e un po’ là sui piani antinomici di metafisica/ontologia, onirismo/realtà, lucidità/follia.
A dispetto di una scrittura scarnificata all’osso, il libro dello scrittore francese gronda di suggestioni filosofiche come di ketchup un hot dog di Mc Donald’s (se mi si passa la metafora volgare), cibo per l’anima e per quel poco di materia grigia che ancora ci rimane. Ne “L’inchiesta” niente è come sembra - o forse invece sì -, al punto che in chiave psicoanalitica potrebbe essere letto come un romanzo sulla dispercezione del sè. Come negli incubi peggiori, i punti di riferimento - da quelli geografici a quelli relazionali - risultano aleatori, mutevoli, sfrangiati, al punto da civettare con l’incongruità. Ne discendono il senso di spaesamento e l’agorafobia del protagonista, di pari passo a quelle del lettore.
Un accenno al plot, giusto per approfondire il concetto - Un Inquirente (l’occultamento del nome proprio non è casuale, suggerisce una non-identità all’infuori del ruolo) è incaricato di indagare su una catena di suicidi che coinvolge i dipendenti di una misteriosa Azienda. Quella che all’inizio si presenta come una missione come tante, si trasforma in un precipitare progressivo tra le maglie di una realtà tanto assurda quanto minacciosa, dove il senso normale delle cose risulta sovvertito, e finanche i confini tra Bene e Male incerti.
Parte della critica italiana ha accolto “L’inchiesta” come un romanzo-denuncia sul lavoro ai tempi della dittatura capitalista. Condivido solo in parte, nel senso che gli stimoli proposti da Claudel mi sembrano offrire tanto di più e trascendere il genere realista per approdare a un fantastico visionario che evoca sì certe ossessioni politiche di stampo orweliano, ma anche i simbolismi nichilisti della prima Capriolo (“Il nocchiero”, “Il doppio regno”) e le fantasie magico-realiste di Buzzati. In altre parole: aldilà dell’interpretazione in senso sociale, “L’inchiesta” è romanzo nella sua forma migliore: straniante, ipnotico, fascinoso, si fa leggere d’un fiato nonostante siano frequenti le profondità dell’animo e la seduzione dell’abisso. Il modo più opportuno per accostarsi alla narrativa francese contemporanea, aldilà del pregiudizio che la vorrebbe sonnacchiare alquanto.
L'Inchiesta
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