L’ipermoderno spiegato ai bambini
- Autore: Sebastien Charles
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Anno di pubblicazione: 2009
A partire dal 1979, anno in cui venne pubblicato il celebre volume del filosofo francese Jean François Lyotard dal titolo La condition postmoderne, si è affermata presso molti filosofi ed intellettuali occidentali l’idea che si fosse passati dal moderno al postmoderno, cioè si fosse giunti alla fine della modernità (tanto per citare un famoso libro del nostro postmoderno o nichilista Gianni Vattimo). Secondo Lyotard, la modernità caratterizzata dalle grandi metanarrazioni del mondo era finita e pertanto il mondo occidentale era entrato in una nuova età, quella postmoderna.
Ma le cose stanno davvero così?
Una risposta negativa ci giunge dalle riflessioni del filosofo franco-canadese Sébastien Charles, il cui libro "L’hypermoderne expliqué aux enfants. Correspondance 2003-2006" è stato tradotto nel 2009 per i tipi di Bonanno Editore, con un chiaro e ottimo saggio introduttivo di Davide Miccione.
Chi conosce bene l’opera di Lyotard noterà come il titolo del libro di Charles ricalchi ironicamente il titolo di un’altra famosa opera del filosofo francese, cioè il Postmoderno spiegato ai bambini, sostituendo al termine “postmoderno” quello di “ipermoderno”, la cui paternità va attribuita a Gilles Lipovetsky, autore di Les temps hypermodernes, volume al quale del resto aveva contribuito lo stesso Charles.
La tesi centrale del libro di Charles è che piuttosto nel contesto della fine della modernità congetturata dai postmodernisti, viviamo e pensiamo all’interno di categorie concettuali che sono una radicalizzazione della modernità. E non è un caso che di recente alcuni autori, non paghi delle riflessioni postmoderniste, hanno cercato di coniare alcuni qualificativi per indicare il presente; pensiamo alla “meta modernità” di Giddens, alla “ultramodernità” di Gauchet e Zarka e, per l’appunto, alla “ipermodernità” di Lipovetsky.
Al di là della diversità dei termini adoperati, secondo Charles essi hanno in comune il fatto di «evocare non un altrove della modernità ma una radicalizzazione di quella» (p. 34); tuttavia, continua l’Autore, sebbene essi
«testimonino tutti la stessa intuizione, il termine ipermodernità mi sembra il più adeguato per via del fatto, così come ci ha mostrato Lipovetsky, che s’attaglia meglio a questa idea di radicalizzazione della modernità, come ne testimonia la sua ripresa in numerose forme: iperlegame, ipertesto, iperpotenza, iperterrorismo» (ib.).
Ma quali sono le ragioni che spingono Charles a negare la validità delle tesi postmoderniste? Secondo Charles, qualora accettassimo la tesi postmodernista, bisognerebbe dimostrare la caducità dei quattro principi base attorno ai quali la modernità ha costruito sé stessa cioè:
«Primo principio: la liberazione e la valorizzazione dell’individuo nel quadro del paradigma che viene stabilito nel diciassettesimo secolo, segnatamente nella forma del patto sociale elaborata da Hobbes nel Leviatano. In Hobbes, gli individui rinunciano – in virtù del contratto – al loro diritto naturale su tutte le cose al fine di ottenere in cambio dei diritti civili ed una sicurezza pubblica che non possedevano nello stato di natura. Questo modello giuridico corrisponde all’invenzione teorica dei diritti dell’uomo che troveranno a poco a poco una loro efficacia pratica. Secondo principio: la valorizzazione della democrazia come il solo sistema politico valido che permette di combinare libertà individuale e sicurezza collettiva. Terzo principio: la promozione del mercato come sistema economico regolatore di tutte le virtù poiché contribuisce ala pace fra le nazioni ed alla ricchezza, tanto individuale che collettiva. Quarto principio: lo sviluppo tecnoscientifico concepito come panacea alla difficile fatica degli uomini e come garanzia della salute delle popolazioni umane» (ib.).
Ebbene, secondo Charles questi quattro principi non sono stati per nulla delegittimati dalle tesi postmoderniste, poiché la
«nostra ipermodernità si spiega […] attraverso la forma che la modernità ha assunto oggigiorno. La nostra ipermodernità si presenta come una modernità che si cerca di “modernizzare” ancora e sempre ed a razionalizzare maggiormente approfondendone i suoi fondamenti. Si è ben lungi da una ipotetica postmodernità, in reale rottura con quella» (p. 35). La ipermodernità si spiega pertanto con la radicalizzazione proprio di quei quattro principi-base della modernità, negata con tanta veemenza dal postmodernismo; ecco perché non è dunque «sul bilancio che la postmodernità s’è sbagliata, bensì sulla rottura che credeva di instaurare con la modernità» (p. 36).
Ciò viene argomentato e motivato con tutta una serie di analisi interessanti ed assai penetranti che riguardano i vari aspetti della ipermodernità, nei capitoli che concernono la felicità (sempre più edonista e priva di saggezza), il multiculturalismo, l’educazione (secondaria e universitaria), l’estetica, la scienza e la ricerca, la politica.
- Sébastien Charles, L’ipermoderno spiegato ai bambini. Lettere sulla fine del postmoderno, a cura di Davide Miccione, Bonanno, Acireale-Roma, 2009, pp. 155.
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