L’isola di zucchero
- Autore: Nino Monreale
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Nino Monreale ne “L’isola dello zucchero. L’industria della canna da zucchero in Sicilia (secc. XV-XVII)” delinea un periodo in cui nelle piazze di Sicilia come a Ficarazzi, Bonfornello,Trabia, si reclutavano uomini per “fare la stagione” nelle campagne dove vi erano i Trappeti. Questo avveniva fino agli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento ma la coltivazione della canna da zucchero era diffusa in Sicilia già in epoca precedente. In seguito all’abolizione della feudalità, la terra era divenuta una merce da comprare e vendere. La trasformazione dei feudi in beni allodiali aveva comportato uno sviluppo del mercato della terra con una nuova organizzazione del lavoro, una maggiore circolazione del denaro e una più marcata attività bancaria. In questo incremento di attività delle banche, si distinsero soprattutto i Genovesi che prestavano denaro anche al sovrano di Spagna e a chiunque offrisse sufficienti garanzie. Come attestato dalla documentazione del Cinquecento e del Seicento, all’interno dei Trappeti vi era una rigida organizzazione del lavoro regolata da precise tabelle dei lavori e dei salari.
È un settore dell’economia particolarmente avanzato in una congiuntura economica favorevole che vede la Sicilia come un luogo privilegiato per la coltivazione della canna da zucchero. Ciò avveniva quando Madeira e le Canarie avevano sviluppato la propria produzione di zucchero, nondimeno la Sicilia esercitava e continuava a mantenere, anche se non in regime di monopolio, un ruolo e una propria competitività.
Si può fare un analogia con quanto avvenne per la coltivazione del grano: non più il latifondo eterno ed immutabile ma una nuova organizzazione con le masserie che divengono il motore dell’economia agricola.
Nel Settecento coesistono la piccola proprietà e la piccola enfiteusi con le masserie, vere e proprie “fabbriche” del grano con un sistema di auto coltivazione ad esse integrato. Dalle centinaia di masserie di Sicilia viene fuori la maggior parte della produzione del grano, soprattutto quello che si esporta in quantità notevole per tutto il Cinquecento e il Seicento. L’aumento della produzione cerealicola è il segnale di una complessiva crescita economica del territorio nel periodo considerato. Siamo nella terra di Cerere in cui il grano è il perno dell’economia e la ragione di questa crescita non è certo il sistema economico.
Nel XIV secolo si manifesta il collasso della rendita feudale ma la fine del feudalesimo e della servitù della gleba non è la sola causa della crisi del sistema, essendo diversi i fattori ed i protagonisti di questo nuovo quadro economico. Unitamente all’incremento della produzione del grano, vi era un’altra produzione in espansione, quella della seta. Questa veniva lavorata principalmente nel messinese ma a Palermo tra il 1590 ed il 1640 si contavano milleduecento tessitori su una popolazione di quasi cinquemila abitanti che esercitavano la loro attività in un unico sito. Vi erano quartieri tra San Domenico e Santa Caterina all’Olivella, dove operava un gruppo di tessitori lucchesi, veneziani, genovesi, milanesi: provenivano da tutta Italia, popolando anche il circondario di Monreale. L’allevamento del baco e i processi connessi di lavorazione si erano estesi facendo ricorso a manodopera femminile per l’incannatura e la tessitura.
La storia economica della Sicilia va riletta demolendo schemi e modelli tramandati specialmente dalla cultura illuministica che perseguiva proprie finalità. Non si possono accettare acriticamente premesse e conclusioni opinabili, espressioni di battaglie polemiche ormai trascorse.
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