L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani
- Autore: Jonathan Gottschall
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2014
“Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare” sentenziava il replicante Roy Batty nella malinconica resa dei conti di “Blade Runner”. Non è però detto vada sempre così: la specie umana è infatti “programmata” per fantasticare, da che notte dei tempi è stata notte dei tempi. Il nostro cervello è un congegno a orologeria pensante che sforna storie a getto continuo: persino quando sogna, se si ammala - smarrendosi tra gli “altrove” della schizofrenia -, rimugina su civiltà aliene o teorie del complotto, perpetua dall’inconscio collettivo i miti fondanti delle religioni. I neuroni-specchio fanno quasi sempre il loro lavoro, un lavoro capitale per la conservazione della razza: introiettano condotte comportamentali condivise, utili a cavarci fuori da guai sempre possibili come a “suggerirci” risposte al cospetto di situazioni insolite. In altri termini: ci interessiamo alle vite degli altri per fini propedeutici (modelli da imitare o rifuggire come la peste), ci condizionano trame di film e di romanzi, e se poi la nostra vita non è sputata quella di Humphrey Bogart di “Casablanca”, poco importa, siamo maestri anche nell’infiorare di mitologia la nostra auto-fiction (un po’ come Woody Allen in “Provaci ancora Sam”). La memoria è fallace e quasi sempre insincera, un modo come un altro per tenerci in piedi e non scadere troppo sul piano dell’autostima: dal “facciamo finta che” dei giochi di bambini all’accomodamento di intere pagine di storia a uso e consumo dell’appeal narrativo, il passo, insomma, è straordinariamente breve.
La nostra esistenza si accompagna in maniera incessante a trame, fiction, narrazioni di ogni tipo (dalle favolette che leggiamo ai più piccini ai videogiochi, ai plot dei così detti reality televisivi), il compito dei più curiosi, semmai, è cercare di capire perché. Una specie di giallo dal finale apertissimo che Jonathan Gottschall ci rivela con tesi originalissime, in un saggio tanto avvincente quanto puntuale. Il libro si intitola - non a caso - “L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani” (Bollati Boringhieri, 2014) e ve lo raccomando, come si dice in questi casi, con assoluta convinzione.
Avvalendosi del supporto di psicologia, neuroscienze e studi antropologici (in primis), Gottschall inquadra il tema della narrazione da focus trasversali, provando a spiegare le (diverse) ragioni per cui l’essere umano ha sviluppato la peculiarità del raccontar(si) storie: un espediente genetico per coniugare l’utile della trasmissione dei saperi della specie (soprattutto in ambito di problem solving) al dilettevole dato dall’atto del narrare in sé. Gli esempi messi uno dietro l’altro potrebbero ricoprire la superficie di un campo di calcio e stanno quasi tutti in questo libro: inventando storie i bambini si “allenano” alla relazione con gli altri, i “sogni a occhi aperti” ci consentono di vagliare possibili alternative di condotta che possono tornarci utili nella gestione della vita reale, cinema e letteratura consolidano la morale comune, ci cambiano (a volte persino nell’aspetto) e via di questo passo, tenuto conto di un concetto basilare: anche l’informazione più ostica “funziona” meglio se rivestita da una trama. Questo saggio, che si "divora" nemmeno fosse un romanzo, sta a dimostrarlo una volta di più.
L'istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani
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