L’occhio moltiplicatore del cinema. Autori, film, temi
- Autore: Danilo Amione
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2023
Danilo Amione, critico cinematografico e docente di storia del cinema e del video, ha recentemente pubblicato l’opera L’occhio moltiplicatore del cinema. Autori, film, temi a cura della nota casa editrice Mimesis (Milano-Udine, 2023). Limpidissima la prefazione di Dario Tommasi che ha fatto una sintesi del viaggio dell’autore a partire dai Lumière fino agli anni Sessanta del cinema italiano da Fellini a Pasolini, da Ermanno Olmi a Dino Risi a Luciano Salce. È l’autore nell’Introduzione a chiarire i suoi intenti sulla base di un metodo definito “olistico”. Raccogliendo una serie di scritti sulla storia del cinema ha così accostato artisti diversi tra loro, diversità caratterizzata
per appartenenza geografica, culturale o temporale, ma tutti egualmente proiettati nel racconto della realtà, individuale o collettiva, colta nella sua molteplicità, attraverso il linguaggio cinematografico, per sua natura universale, e per questo prima forma di “buona” globalizzazione nella storia culturale della realtà
. Il cinema, dunque, tutt’altro che neutro, come rappresentazione della realtà: “arte di massa per eccellenza in tutte le sue possibili accezioni”. Ed è la finzione il migliore veicolo per raccontarla secondo la definizione di Méliès, di cui è ricordato “Il viaggio nella luna” (1902, che rappresenta, viene detto, ”l’archetipo della science-fiction” (1902).
Attualissimo il messaggio, quale l’aggressione violenta della natura e la colonizzazione dei lunatici, che viene fuori da una concezione ben precisa: la realtà va aggredita, denudata, inventata “entrandoci dentro, sviscerandola fin nei minimi particolari”. Il Novecento, da poco nato e sviluppatosi con Freud e Marx, nel cinema ha una dimensione contestativa in direzione di saldi valori, quali la pace e la serenità dell’uomo con se stesso. Anche l’inventività fantastica, sorretta dall’onirico, con Mèliés si colloca pertanto nella decifrazione della realtà che va analizzata e comunicata:
Realtà e fantasia, sogno e verità si ritrovano e provano a confrontarsi su un terreno a loro congeniale, le immagini in movimento, il cinema
.
La poetica dello sguardo di Keaton ("sgomento e attonito"), connotata dall’immagine in movimento, col sonoro-parola viene sostituita dal dialogo. E da qui la narrazione del viaggio si sviluppa in plurime direzioni che avvincono e destano interesse per l’abbondanza di dati conoscitivi che saremmo tentati di evidenziare. Ma veniamo ad un’altra annotazione significativa:
Il cinema è un prodotto culturale, in quanto tale nasce e si sviluppa, inevitabilmente, in un certo contesto storico e sociale
. Ineludibile perciò il rapporto tra cinema e cultura ideologica del tempo diffusa attraverso la “celluloide” come per esempio l’esaltazione del Fuhrer e della gioventù tedesca nei film di Riefenstahl, nonché l’apologia del fascismo. Siamo nel cinema-propaganda, tanto efficace per immagini, svoltosi in due direzioni: “esaltazione del beneficiario, denigrazione dell’avversario”. Mutano gli stili d’approccio alla realtà, cambia il genere espressivo, ma il tema di fondo resta conoscitivo del reale: si pensi alle commedie di Billy Wilder che sono un atto d’accusa dell’impietosa società americana, passando dal tragico al comico con attenzione a ciò che si cela oltre l’apparenza. Siamo nel rapporto verità-finzione, modulato sulla mascheramento di ciascuno, tanto privilegiato da Pirandello. Ad essere ribaltato è il cinema hollywoodiano da Michael Cimino:
“raro costruttore di un immaginario visivo capace di analizzare la realtà attraverso il complesso rapporto tra uomo, natura e cultura”.
E la pagina acquista un valore poetico nella presentazione del film “Il cacciatore” (1978). La presenza di Marx è presente nella critica al capitale che, azzerando ogni valore, esalta il vitello d’oro in un mondo mercificato e in piena deriva. È la grande stagione del cinema statunitense che si afferma con “I cancelli del cielo” (1980):
“autentico testamento spirituale e opera dalle mille sfaccettature genialmente incastrate le une sulle altre”.
Le ampie considerazioni consentono ad Amione di attirare l’attenzione del lettore su una chiave di lettura ben precisa: la critica cinematografica al capitalismo americano con l’ottica di Marx sull’accumulazione del capitale e il conseguente impoverimento dei più deboli. Nel contesto c’è una frase di grande attualità che fa riflettere:
“è il potere che si appropria di chi vi crede”
e prosegue avvolgendo il lettore nelle belle riflessioni su John Ford e nello scritto su Sergio Leone, il padre del western all’italiana. Immancabile infine il riferimento al regista francese Frainciois Truffaut, presentato con una espressione lapidaria:
Ci sono artisti di cui tutto è già stato scritto e riscritto, fortunatamente. Solo il racconto delle sensazioni e delle emozioni suscitate dalle loro opere possono aggiungere un tassello in più alla loro conoscenza.
E Amione ne coglie più di uno: per esempio, il senso della morte che pervade la sua opera di esordio, il cortometraggio “Les missions” (1957) e, via via, la problematica dell’adolescenza
vista come ultimo momento di libertà assoluta […] inconciliabile con il mondo necessariamente costretto ad ogni compromesso degli adulti, i quali hanno “dovuto” freudianamente dimenticare, per sopravvivere, d’essere stati bambini e liberi pure loro
. La seconda parte del libro, succosa e dallo stile elegante, è dedicata alla presentazione di film, tra cui spicca il poco noto Pasolini “documentarista” (pp. 60- che mi ha fatto pensare all’intreccio con la sua poesia. Diciamo che il primo contatto di Pasolini con il «Terzo Mondo» avvenne nel 1961 in Kenya (viaggio compiuto con Alberto Moravia e con Elsa Morante). Seguirono Ghana, Nigeria e Guinea nel 1962. Sulla Guinea subito dopo il rientro scriverà nel febbraio dello stesso anno, pubblicandolo, il lungo componimento in terzine, “La Guinea”, che ora si legge nella raccolta “Poesia in forma di rosa”. La sua Africa, in cui ebbe modo di visitare tanti altri Paesi sahariani, essendo estranea al corso della storia, fu vista anche come un luogo edenico alternativo al selvaggio e galoppante progresso tecnologico che da noi stava comportando la dissoluzione della civiltà contadina con la conseguente stanchezza ideologica. Per esempio nei versi della “Guinea” il continente africano viene smitizzato da ogni idealità e vi prevale una fisionomia concreta. È il cupo e squallido presente della Resistenza tradita a spostare lo sguardo del poeta verso la concezione “terzomondista”, comprensiva del sottoproletariato “consumatore” rispetto al capitalismo produttore. Negli anni della “decolonizzazione l’obiettivo è la “giustizia sociale”: perciò, in tale ottica il componimento va integrato con la lettura della “Resistenza negra”, nonché con la visione del documentario, apparso nel 1968, “Appunti per un poema del terzo mondo”, in due episodi: il primo “Appunti per un film sull’India”; il secondo sull’Africa, nato da un nuovo viaggio in Uganda e in Tanzania, dove il poeta era andato per acquisire informazioni dirette in merito al progetto di un film sull’Orestiade di Eschilo, ambientato in Africa proprio per la contemporanea “scoperta della democrazia”. Sull’argomento la competenza di Amione è estesissima e si rimane come incantati dalla sua abile espressività (pp. 60-69). Lasciamo ora al lettore l’opportunità di addentrarsi nella parte terza del volume attinente alla produzione cinematografica degli anni Cinquanta-Sessanta che risente dell’influsso di Marcuse, anticipato da Pasolini, sull’uomo a una direzione in una società regolatrice dei più squallidi interessi economici. Ed ecco, in Italia, “Teorema” (1968), su cui Danilo Amione amorevolmente si sofferma. Concludendo, non si può non sottolineare la godibilità della lettura. Restano alla fine sensazioni, emozioni, narrazioni interculturali e interattive (si pensi agli accostamenti tra Pasolini, Dino Risi e Antonioni), da rivisitare in concomitanza con la visione dei film segnalati. In definitiva, egli ha saputo con l’arte della finezza, anche da letterato che ama la poesia, costruire una metodologia di lettura da cui affiora appunto “l’occhio moltiplicatore del cinema”: da intendersi questa bella metafora non solo per la molteplicità delle tecniche e degli argomenti trattati (senza esclusione della fantascienza che racconta la sorpresa), ma anche per la soggettività dell’interpretazione dell’opera filmica. Del resto, ognuno ricerca se stesso. Proust a proposito della lettura aveva scritto:
Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.
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