L’orizzonte del campo
- Autore: Marco Minardi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
Non è raro trovare pagine di fratellanza e solidarietà sia pure nel contesto sanguinario di una guerra disumana come il secondo conflitto mondiale, ma non hanno quasi paragone quelle scritte dalla popolazione di Fontanellato (Parma) nei confronti degli ufficiali alleati del locale campo di prigionia PG 49. Le conosciamo grazie al libro “L’orizzonte del campo” (edito nel 2015 da Mattioli 1885, pp. 136, euro 14,00), per il lavoro di Marco Minardi, direttore dell’Istituto storico parmense della Resistenza e autore di numerose ricerche su fascismo, antifascismo e guerra in Emilia. La prima edizione del volume risale al 1995, per le celebrazioni del conquantesimo della Liberazione. La riedizione è arricchita da nuove fonti di archivio britanniche e muove dall’esigenza di insistere nello studio della prigionia militare alleata nella penisola.
Della vicenda parmense sono protagonisti innanzitutto i quasi settecento angloamericani reclusi nel campo, in gran parte ufficiali inferiori e per lo più inglesi. Poi i militari italiani di custodia, che subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 suggerirono e favorirono la fuga di massa più riuscita di tutta la seconda guerra mondiale, sotto il naso dei tedeschi inferociti. Ma, soprattutto, protagonista è la popolazione civile del paesino emiliano e dintorni, che fece a gara per assistere i giovani stranieri, fornendo vestiti, cibo e ospitalità, pur nella povertà che la faceva da padrona in quel momento difficile.
Questa è una storia unica. In nessun altro campo di prigionia in Italia avviene quanto accadde a Fontanellato. Quando il comandante Vicedomini fece aprire uno squarcio nella rete che cingeva il campo, diverse centinaia di militari alleati si riversarono nelle campagne, in cerca di un rifugio dai tedeschi e di una via di salvezza. E i contadini, a rischio della vita dell’incolumità delle famiglie, li nascosero, nutrirono e aiutarono ad allontanarsi.
A metà agosto 1943, i prigionieri di guerra nel nostro Paese erano oltre 79.500: 12.194 britannici, 26.126 del Commonwealth, 2.000 francesi, 1.310 americani, 1.689 greci, 6.153 jugoslavi, 12 russi, 49 altri europei. Inizialmente erano distribuiti in tutte le province, ma con l’avanzata alleata dalla Sicilia vennero progressivamente trasferiti nel Centro-Nord.
La vita nel “lager” in muratura di Fontanellato era monotona ma regolare. La struttura quasi elegante che ospitava i militari alleati era stata costruita come sede di un orfanotrofio. Il PG 49 doveva rappresentare un campo modello, da esibire ai delegati della legazione svizzera che curava gli interessi britannici in Italia.
Alle 12,10 del 9 settembre 1943, sarà stato decisamente curioso vedere più di seicento prigionieri alleati superare il varco nella recinzione e marciare come un reparto organico. Era prioritario sottrarsi ai tedeschi, che li avrebbero trasferiti in Germania: la scelta di uscire inquadrati a passo di marcia, schierati in fila per tre in sei compagnie, voleva disorientare l’eventuale ricognizione, contando anche sul fatto che le divise potevano passare per quelle germaniche. In effetti, aerei sorvolarono senza conseguenze quello che scambiarono probabilmente per un battaglione della Wermacht.
Fu quando il gruppo si sciolse che la gente del posto si prodigò negli aiuti ai giovani, che poi si dispersero verso la Svizzera, in particolare. Non tutti, ma la gran parte riuscì a scamparla.
Un cenno va fatto alla sorte del comandante italiano del campo, tenente colonnello Vicedomini. Accusato di tradimento e malmenato, rischiò d’essere passato per le armi sul posto, poi venne deportato nei lager del Reich. Riuscirà a sopravvivere a Mauthausen e a rientrare in Italia a guerra finita, provato dalla terribile esperienza. Le condizioni di salute precarie lo portarono al decesso nel marzo 1946. La televisione inglese dedicò un tributo
“al suo alto spirito di eroismo, profondo senso del dovere e alla nobile semplicità con la quale si fece carico con coraggio della responsabilità morale, umana e militare delle proprie azioni”.
Tornati in patria, i superstiti del campo di Fontanellato non dimenticarono la solidarietà degli italiani e sentirono di doverla ricambiare, istituendo borse di studio a favore dei giovani del posto. Una tradizione che continua: tuttora ogni anno un gruppo di ragazzi può studiare inglese contando sulle risorse messe a disposizione dai discendenti di quelli che nel 1943 vennero aiutati dai loro compaesani.
L'orizzonte del campo. Prigionia e fuga dal campo PG 49 di Fontanellato 1943-45
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