L’uomo che voleva essere colpevole
- Autore: Henrik Stangerup
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2023
Democrazia surrogata e libertà obbligatoria sono le basi mistificatorie su cui poggiano i governi occidentali. La cifra di benessere apparente millantata dal globalismo liberista. L’uomo che voleva essere colpevole dello scrittore danese Henrik Stangerup (Iperborea, 2023, traduzione di Anna Cambieri) risale al 1973 e, anche sotto questo aspetto, ci vede lungo: il modello scandinavo di socialdemocrazia distopizzato in tinte plumbee sotto la velatura di una società funzionalmente eufemistica.
A partire dalle espressioni semantiche: nell’ufficio dove lavora il protagonista, la “ritenuta fiscale” diventa “contributo per la sicurezza”, il “quartiere” manicomiale dove sono rinchiusi i malati più gravi (i nuovi dissidenti?), “Parco della felicità”, l’omicidio espressione di scarso adattamento sociale (e dunque penalmente non punibile): l’armonia sociale pianificata dallo Stato – la spinta al “bene comune” del cittadino organizzata dalla culla alla bara – non contempla dissonanze, da qui l’edulcorazione del gesto non conforme, persino se estremo come il delitto.
A seguito di una lite degenerata a causa dell’alcol, Torben uccide la moglie e ammette la propria colpevolezza; ma uno Stato munifico, fin quasi alla stereotipia, dapprima lo costringe con le buone (l’ossimoro è voluto) alle cure psichiatriche, quindi alla libertà.
Contrario alle leggi di un Sistema che aliena da ogni responsabilità individuale, Torben non si dà pace, invocando, al contrario, la condanna che si merita.
È questo lo spunto narrativo attraverso cui si dispiega L’uomo che voleva essere colpevole, un romanzo denso e indimenticabile. Il metafisico esser-ci per la colpa delle storie kafkiane rivisitato in senso distopico-politico. Attraverso stazioni esistenziali “altre” rispetto a quelle agevolate da un governo che sacrifica a una scienza presunta, l’individuo e la morale stessa.
Conosciuto per un trittico di volumi ispirati al filosofo Soren Kierkegaard, Henrik Stangerup ne rievoca il lascito, assegnando a Torben i tratti “singolari” - nel senso di quel “singolo” che il filosofo intendeva fare incidere sulla propria tomba – assumendosi i rischi di una verità perseguita contro la verità della maggioranza conformista.
Come scrive Anthoiny Burgess, autore di Arancia Meccanica, nella sua acutissima postfazione al volume (traduzione di Cristina Rognoni):
(…) Quando il protagonista di Stangerup rivendica la sua colpevolezza, lo fa semplicemente perché vuole essere un uomo e non soltanto un oggetto integrato nell’elettronico archivio dello Stato (…) Se il giudizio resta puramente clinico (…) si prova un senso di delusione constatando che l’equilibrio delle norme giuridiche è stato infranto e che la violenza dello Stato non ha eliminato quella dell’individuo (…) Questo punto vista non toglie mordente all’ottimo romanzo di Henrik Stangerup, la cui preoccupazione non è tanto la colpa, quanto la miseria dell’individuo in una società in cui tutte le decisioni sono diventate un fatto collettivo.
L'uomo che voleva essere colpevole
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