La 317ª sezione
- Autore: Pierre Schoendoerffer
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Un romanzo che vale un saggio di storia: La 317ª sezione di Pierre Schoendoerffer, edito dall’Associazione culturale Italia Storica (febbraio 2020, illustrato 176 pagine), la lotta per la sopravvivenza di un plotone dell’esercito francese in Indocina, in pratica la sceneggiatura di un film di oltre mezzo secolo fa. Una pagina di storia ora dimenticata, cancellata da eventi molto più grandi, avvenuti pochi anni dopo nello stesso territorio. Non a caso, dalla fine degli anni Cinquanta non si è parlato più di Indocina, ma di Vietnam e semmai di Laos, Cambogia: i luoghi sono quelli, ma la guerra dei francesi contro i Viet Minh è stata oscurata da quella degli Stati Uniti d’America contro il Vietnam del Nord, tanto controversa per l’opinione pubblica internazionale.
Era uomo di valore e di valori l’alverniese Schoendoerffer (1928-2012), scrittore, sceneggiatore, regista. A quelli in cui credeva tenne fede tutta la vita. E si direbbe portato più alla sostanza che ai sogni, sebbene da giovanissimo fosse stato conquistato dalla passione per l’avventura e per i viaggi. L’autore preferito era Joseph Conrad e sotto l’influenza dei suoi romanzi il ragazzo di Chamalières, nella Francia centrale, s’imbarcò diciannovenne e lavorò per due anni sui mercantili nel Baltico e nel Mare del Nord. Il servizio di leva interruppe la carriera marittima, precedendo quella dietro la macchina da presa. Dopo la ferma, si arruolò volontario nel 1951 per la Marina francese a Saigon. Tre anni dopo riprese il lungo assedio di Diên Biên Phú, la cui resa sancì la disfatta della Francia e gli costò la prigionia. Liberato, rimase a lungo corrispondente di guerra e fotografo nel Sud Vietnam.
Nel 1958, un amico romanziere gli chiese di dirigere insieme un film d’avventura, da girare in Afghanistan. Un anno dopo, adattò per il cinema i romanzi di Pierre Loti, prima di cercare di tornare alla guerra in Indocina. La verità è che non lasciò mai davvero il Vietnam e il Vietnam non lasciò mai davvero lui.
Da operatore riprendeva dal vivo, sebbene la detenzione nel campo di “rieducazione” l’abbia spinto a disfarsi delle bobine registrate (sei, da un minuto ciascuna, poi usate dal documentarista Roman Karmen per filmati sulla guerra di liberazione Viet Minh). A metà anni Sessanta ecco finalmente l’occasione di girare un lungometraggio a soggetto, proprio La 317ème Section.
Il produttore de Beauregard conservava un buon ricordo del successo dei primi tre film, eppure respinse la proposta di finanziarne uno sulla guerra d’Indocina:
“La vostra storia di boy-scout non m’interessa!”
Del progetto rimasero una serie di appunti, da cui venne tratto il libro, che incontrò il favore del pubblico. A quel punto, Beauregard rivide la decisione e nel 1964 cominciarono le riprese
"con mezzi ridicoli, il che non mi ha preoccupato veramente perché dicevo sempre che la guerra d’Indocina è stata “una guerra di poveri”. Allora fare “un film di
poveri” andava nel senso di quello che volevo raccontare".
Uno dei ricordi da fotografo militare erano le marce estenuanti nella giungla, sotto le piogge incessanti, con il costante senso di pericolo estremo, di isolamento in un mondo avverso. Sentimenti che il regista riporta nel film, basato sul conflitto tra un ufficiale alle prime armi e un sottufficiale veterano della seconda guerra mondiale (due attori bravissimi, emergenti, il giovane Jacques Perrin e Bruno Cremer). Sono alla testa di un reparto di fucilieri nel Laos del Nord, che nell’aprile 1954, mentre Dien Bien Phu sta per cadere, ricevono l’ordine di ripiegare a Tao Tsai, a 150 km di distanza. Sono superstiti del 317º battaglione, quattro francesi e quarantuno laotiani (otto giorni dopo, ne resteranno in vita solo tre, con Willsdorf, l’esperto secondo in comando dopo l’acerbo sottotenente Torrens). Fotografata in uno splendido bianconero e diretta con sobrietà, la marcia nella giungla, dietro le linee e contro il nemico, sembra realistica, quasi un documentario dal vivo.
Il regista-reduce impegnò l’intera troupe (sei persone, più attori e comparse) nella foresta cambogiana e nella stagione delle piogge, imponendo uno stretto regime militare, convinto che un film bellico non andasse “fatto in comodità”. Voleva proporlo come un monito contro la guerra, mentre il coinvolgimento americano in Vietnam aumentava drammaticamente. A Hollywood servirono diversi anni per accostarsi a quella guerra nella stessa maniera, ma i registi Wellman, Fuller, Francis Ford Coppola (Apocalypse Now, 1979), Oliver Stone (Platoon, 1986) e Stanley Kubrick di Full Metal Jacket (1987) non erano stati militari in quello scenario, non avevano marciato sotto la pioggia, il sole e i proiettili.
Schoendoerffer vi era stato ferito, fatto prigioniero, "andato in fondo
alla miseria umana". Gran parte dei compagni erano morti per strada. Aveva vissuto tre anni con cui riempire una vita e sentiva il bisogno di testimoniarlo, cercando la sua strada nel cinema.
Il romanzo, prima del film, racconta la ritirata di un reparto inseguito nelle foreste del Laos da un nemico invisibile e implacabile. La linea di comando è scossa dal contrasto tra l’ufficiale d’accademia e il veterano. Un racconto dal vero, che non risparmia momenti forti.
Dal 2001 al 2007, l’ex caporal maggiore Pierre Schoendoerffer è stato presidente dell’Accademia di Belle arti francese.
La 317ª sezione. La lotta per la sopravvivenza di un plotone dell’esercito francese in Indocina. Ediz. illustrata
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