La Tradizione Ermetica
- Autore: Julius Evola
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
In questa breve recensione tenterò di presentare un’opera caleidoscopica, difficile e, per il gusto dell’homo oeconomicus, immensamente inattuale: “La Tradizione Ermetica. Nei suoi simboli, nella sua dottrina e nella sua «Arte Regia»”, libro, pubblicato da Julius Evola nel 1931 per Laterza e ristampato dalle Edizioni Mediterranee, che ripercorre i principi e la storia della tradizione ermetico-alchemica.
Si tratta di un antichissimo sapere “sapienziale e operativo” che non può essere carpito nella sua essenza se si segue l’interpretazione di matrice “positiva” secondo cui l’alchimia è “una chimica allo stato infantile e mitologico”. Tale arcano Magistero ha infatti degli incredibili – è il caso di dirlo – fini nascosti di ben altro spessore: la “nascita eterna”, ossia il passaggio dallo stato di “dio mortale” allo stato di “uomo immortale”. Un simile obiettivo presuppone un’idea che contrasta non solo con i principi del materialismo imperante, ma anche col cristianesimo – almeno con quello "essoterico": l’immortalità dell’anima (non la sua mera sopravvivenza), il divenire dei, non è una certezza né un merito religioso, ma una possibilità problematica che l’uomo può raggiungere solo tramite l’iniziazione, cioè tramite la ri-generazione che si realizza nella pratica dell’Arte Regia. Se l’alchimia non è l’antenata ingenua della chimica, essa non è neppure un percorso di natura mistica, morale o magari psicologica avendo invece un senso “concreto e ontologico” in grado di conferire ai ri-generati (ai “Maestri Invisibili” come furono – o sono? – i Rosacroce) poteri “sovranormali” quali, per esempio, la scienza profetica, la lettura del pensiero, la capacità di destare negli altri idee, immagini, sentimenti; il potere di proiettare dovunque il proprio doppio, la bilocazione, l’apparizione simultanea in forme distinte.
Il Maestro alchemico sarebbe inoltre in grado di
“trasporre nell’invisibile tutto ciò che compone l’uomo visibile (invisibilità, morte senza lasciare un cadavere)”
L’alchimia non può essere ridotta, secondo Julius Evola, neanche al tentativo di trasformare i metalli in oro perché tale trasmutazione, della quale comunque ci sarebbero varie e importanti testimonianze, non sarebbe altro che il segno (certamente concreto e non soltanto metaforico) di una avvenuta palingenesi, purificazione, rinascita dell’uomo immortale. L’alchimia avrebbe come fondamento una “metafisica” cioè, scrive il filosofo,
“un ordine di conoscenze sovrasensibili, le quali a loro volta presuppongono la trasmutazione iniziatica della coscienza umana”
che consiste nell’estrarre “la natura nascosta all’interno” nel rendere “manifesto l’occulto e occulto il manifesto”, cioè nel fare
“col visibile l’invisibile e con l’invisibile il visibile”.
La prima parte di “La Tradizione Ermetica” concerne la dottrina e spiega nel dettaglio, tra le infinite altre nozioni, il significato dei quattro elementi, e poi, del Sole, della Luna, del Solfo e del Mercurio pervenendo, mediante un’analisi dei pianeti e dei Sette centri di vita, a delucidare il senso ultimo dell’alchimia. La seconda parte, che discende naturalmente dalla prima, indaga l’aspetto pratico dell’Arte Regia presentando, tra l’altro, le tre fasi dell’Opera al Nero, dell’Opera al Bianco e dell’Opera al Rosso, la differenza tra la Via secca e la Via umida e il principio del solve et coagula.
Lo stesso Evola da un lato rileva come il libro necessiti di essere studiato più che semplicemente letto, dall’altro osserva che il volume, se accuratamente introiettato, può risultare una guida all’analisi di altre opere ermetiche – molte delle quali sono, d’altra parte, ampiamente citate nelle eruditissime note. Chi legge con impegno questo affascinante e faticoso testo ha l’impressione di incamminarsi in un labirinto infinitamente occulto, a tratti forse pericoloso – l’impressione di tornare concretamente indietro nei secoli o, meglio, di oltrepassare i limiti del transeunte per "solversi" e "ricoagularsi" nell’Atemporale.
“La Tradizione Ermetica”, testo per sua natura elitario, è pertanto adatto massimamente a chi, spoglio da pregiudizi politici e da astratto intellettualismo, intenda abbandonare le zavorre della forma e della individuazione per elevarsi, almeno nella lettura, verso il principio indifferenziato
“superiore e ad un tempo anteriore alla stessa opposizione fra Io e Non-io, materialità e spiritualità”.
Un compito non moderno, troppo poco umano, un compito umanamente divino – alla misura di pochi, di pochissimi, alla misura di Julius Evola.
La tradizione ermetica
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