La battaglia di Verdun
- Autore: Paul Jankowski
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2014
Verdun la battaglia decisiva non decise niente, ma i cimiteri di guerra non bastarono a contenere i caduti
Fu certamente la battaglia più lunga della Grande Guerra: dieci mesi interi, trecento giorni. Eppure non fu militarmente decisiva più di altre, non ebbe un impatto politico radicale e pur essendo un autentico mattatoio non fu nemmeno l’episodio più sanguinoso del primo conflitto mondiale. Allora perché Verdun è diventata la madre di tutte le battaglie?
Waterloo, Sedan erano state sconfitte determinanti per Parigi e Kursk lo sarà per i tedeschi. Verdun, invece, risultò alla fine una vittoria difensiva francese, ma non incise sul corso della guerra. La rivoluzione russa, quella sì ebbe influenza politica sul destino di uno dei contendenti e minacciò di rovesciare gli equilibri, anche se l’arrivo degli americani compensò la defezione dei soviet. E costarono più caduti le manovre germaniche di fine estate 1914, in campo aperto, dal Belgio e nelle Ardenne. Ma la leggenda è nata e resiste. Un saggio del prof. Paul Jankowski (“La battaglia di Verdun”, il Mulino, 404 pagine 29 euro) si impegna a rivelare le ragioni del mito. Lo fa sperimentando una prospettiva nuova, unendo la fredda logica dei metri conquistati e dei colpi sparati al racconto delle esperienze degli uomini che furono spinti in quello scannatoio e che comunque vi restarono a battersi, per coraggio o disperazione.
Il 21 febbraio 1916, dodicimila cannoni spianarono le posizioni francesi. Si avvertiva il suolo tremare anche a cento chilometri di distanza. All’ordine Fuoco tambureggiante!, per otto ore le batterie vomitarono salve ogni dodici secondi, martellando un fronte di tredici chilometri.
I fanti tedeschi sciamarono a piccoli gruppi dalle trincee per occupare le linee nemiche sconvolte. In tanti avevano il fucile a tracolla, convinti di non trovare nessuno a contrastarli. I genieri portavano in spalla spaventosi lanciafiamme, due metri di getto infiammato. Molti poilus erano morti, altri troppo storditi (poilus, pelosi, per la barba mal fatta), ma qualche reparto resistette. Pur arretrando, il fronte francese a Verdun non si spezzò. Non ci fu sfondamento, cominciò la carneficina, metro su metro. Logoramento, proprio quello che auspicava il comandante tedesco von Falkenhayn, non ritenendo decisiva quell’area. Il nazionalismo spiccato dei francesi li avrebbe spinti a consumarsi su ogni zolla. Guerra d’usura, che attrasse nello stesso carnaio i tedeschi e questo non lo aveva previsto. Una carneficina industriale, un macello di materiali e di uomini, voluto dallo junker pomerano, accettato dal generalissimo Joffre e risolto, col tempo, dal più limitato ma tenace Philippe Petain.
L’attacco tedesco andò in stallo e si avvitò in una sequenza divorante di assedi e controassedi alle stesse posizioni, simboleggiata dagli episodi della conquista e riconquista dei forti. Quando la fiamme si esaurirono, 750mila uomini dopo, tra morti feriti e dispersi, in sorprendente parità tra i due eserciti, i germanici conservavano a novembre solo una piccola parte del territorio strappato a febbraio. Lo persero del tutto a dicembre.
Verdun vista dai tedeschi: in gran parte venne considerata un’occasione persa e si lamentò il grande spreco di mezzi e soldati per un sostanziale pareggio. Nacque come un tentativo di Falkenhayn di scuotere il fronte per vedere cosa poteva succedere, tanto o poco. Poi si ridusse al solo obiettivo di dissanguare la Francia, che vampirizzò anche le risorse tedesche.
Verdun vista dai francesi: al di là dell’interpretazione della battaglia d’attrito data da Joffre, tanto simile a quella del collega avversario, venne trasfigurata per motivi propagandistici nella più importante, sanguinosa, determinante battaglia di tutti i tempi. Cosa che non fu affatto, ma la Francia aveva bisogno di giustificare i sacrifici pretesi dai propri uomini, avendo subìto più perdite degli alleati: il doppio degli inglesi e dodici volte più degli americani.
Nemmeno i sacrari di Verdun, che sono i più grandi del mondo, bastarono a raccogliere i 300mila caduti, tra francesi e tedeschi.
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