La città transnazionale. Il vissuto quotidiano del futuro senza differenze razziali e culturali
- Autore: Franco Ferrarotti
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Franco Ferrarotti, che è praticamente il padre della sociologia italiana, in questo volume La città transnazionale. Il vissuto quotidiano del futuro senza differenze razziali e culturali (Armando editore, 2024) si chiede cosa succederà alle nostre certezze di europei occidentali, di fronte ai problemi di immigrazione, di diversità culturale, religiosa e di comportamento.
Il lucido sociologo, che tra due anni e mezzo compirà cento anni, è stato a una conferenza a New York nel 2023, e si è domandato, pensando a milioni di persone di colore che hanno lasciato Harlem, ormai cara e per nuovi ricchi, dove siano finite la media e piccola borghesia che erano il tessuto connettivo del quartiere newyorkese.
Ora gli americani hanno creato un nuovo quartiere dove prima c’erano case sbilenche per gli ultimi della terra, e hanno fatto in modo che sia ben collegato per non metterci troppo tempo in macchina o con i mezzi per raggiungere i parenti ricchi che sono rimasti ad Harlem.
Franco Ferrarotti nella sua conferenza newyorkese, riportata in questo libro, ripercorre i suoi ricordi americani per dirci come sta cambiando il mondo; nonostante tutto lo fa in modo ottimistico.
Tanto meglio, perché il peggio potrebbe essere in un futuro che al docente universitario potrebbe interessare poco, ma le sue riflessioni sono a largo raggio. Ferrarotti ricorda che stava a Boston, ai tempi, una città viva e gioiosa e piena di studenti, percepita più dozzinale e pettegola di quello che era in realtà, perché la novità, la moda, l’originalità dovevano restare a New York e al quartiere di riferimento che era Manhattan, dove tutto sognavano di vivere, non sapendo che nei decenni scorsi tutta la zona puzzava tremendamente perché restavano ancora delle fogne a cielo aperto.
La riflessione di Ferrarotti prosegue parlando degli “ultimi della terra” che hanno scoperto il piacere di vivere bene; addirittura ci sono Stati che ora si prefiggono come obiettivo la felicità del cittadino, ma per raggiungere la felicità bisogna lavorare molto, possibilmente facendo un lavoro che piace, mentre i nuovi migranti accettano i lavori faticosi, che non prevedono l’uso dell’intelletto, ma la sola forza delle braccia.
Ferrarotti si chiede se sia più corretto dire che ora siamo dei “migranti”, perché dopotutto oggi ci si sposta facilmente. L’Europa porta lo scettro degli Stati nazione più evoluti: nostra la Democrazia greca, nostra la Repubblica romana e l’Impero di Roma, nostro il Medioevo che dà il lasciapassare definitivo al cristianesimo e al cattolicesimo, nostra la Rivoluzione francese, nostra la Restaurazione e il ripristino delle monarchie, sempre noi il centro di ben due guerre mondiali.
Ferrarotti scrive:
La cultura europea è naturalmente presentata come l’apogeo, il termine ultimo delle conquiste morali e culturali. E le culture altre? Non se ne parla mai. Sembra esistere solo la cultura europea e che le altre culture siano pre-culture, primi gradini, verso la cultura europea e la sua eccellenza.
Lo studioso quasi centenario trova pericolosi due estremismi, il fondamentalismo islamico e l’estremismo occidentale, che in qualche modo si giustificano a vicenda, anche perché per Ferrarotti, che nel saggio ha sempre avuto la volontà di rendere meno preoccupante le sorti di questo pianeta, ha un cedimento e scrive una verità molto grave ossia che:
Nel loro cieco furore non riescono a comprendere che il dilemma di fronte al quale è oggi ferma l’umanità è semplice e crudele, nel senso che non ammette scappatoie: dialogare o perire.
Il problema, su cui lo studioso cade in una impasse, però c’è, perché in buona sostanza non si capisce come dovrebbe essere guidato questo cambiamento nel dialogo: le nazioni dovrebbero parlarsi tramite una realtà che trascende gli Stati-nazione, come l’ONU, o trovare un modo per cui gli Stati più grandi prendano la parola, avendo la delega dei Paesi più deboli economicamente. Sarà poi così utile questo nuovo Super Stato che vede l’unione tra gli Stati Uniti d’ America e la Cina, che si sta formando solo per il commercio e il traffico finanziario, ma non certo per un’affinità culturale o di stile di vita, per cui i due Paesi sono ancora lontani anni luce.
Se prendiamo ad esempio in analisi due città delle superpotenze ce ne accorgiamo subito.
Shanghai è una città cinese che tra centro storico e immense periferie è arrivata quasi a trentuno milioni di abitanti, che è una cifra enorme. Una cifra che forse spaventa, ma certo non quanto la popolazione complessiva cinese, intorno ai due miliardi. Mentre Los Angeles con i suoi cinque milioni di abitanti sembra una città a misura d’uomo e non lo è, in ogni caso. Ebbene il discorso di Ferrarotti sul fatto che siamo tutti migranti, in questi due casi, cede il passo a nuove interpretazioni: a Los Angeles la lingua ufficiale è l’inglese, ma in zone sempre più vaste la lingua di appartenenza è lo spagnolo, perché messicani e abitanti dell’America centrale e del Sud arrivano negli Stati Uniti come clandestini.
Chi scrive ricorda la drammatica vicenda di mille messicani stipati in un camion che era un enorme freezer. Ebbene, passata la dogana, le persone più anziane e alcuni bambini erano morti congelati. Si tratta di una tragedia quotidiana.
Mentre a Shanghai gli immigrati sono i cinesi stessi e i pochi europei che vivono nella capitale economica della Cina sono uomini e donne d’affari che non hanno, tranne alcune eccezioni, nessun motivo per restare a vivere nella città cinese. Al contrario i nuovi abitanti della città americana, Los Angeles, non hanno nessuna intenzione di tornare nei loro poveri paesi di origine. Ma il più celebre studioso italiano di sociologia afferma che nella parola “crisi”, etimologicamente, è contenuta la parola “rinnovamento”. E cambiamento. Nonostante tutto, vogliamo crederci, speriamo in un futuro meno caotico e pauroso di quello attuale.
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