La fabbrica dei destini invisibili
- Autore: Cécile Baudin
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Nord
- Anno di pubblicazione: 2024
La fabbrica dei destini invisibili (Nord 2024, titolo originale Marques de fabrique, traduzione di Giuseppe Maugeri) è il romanzo d’esordio di Cécile Baudin, nata a Lione nel 1972. Dopo gli studi scientifici, l’autrice ha lavorato per un’azienda di trasporti e in campo edile, prima di diventare responsabile delle risorse umane. Attualmente vive nel dipartimento di Senna e Marna.
Un romanzo attualissimo, un’opera prima che si tinge di giallo per porre all’attenzione del lettore l’eterno problema dello sfruttamento del lavoro femminile e minorile, piaga sociale che perdura fino ai travagliati giorni nostri.
“Madame Gromier? Mi chiamo Claude Tardy. Sono un’ispettrice del lavoro e vi sarei grata se mi permetteste di accedere ai locali della vostra azienda sartoriale”.
Venerdì 1° dicembre 1893.
L’intraprendente Claude, che non esita a vestirsi da uomo, nell’adempimento del suo lavoro, sa che sono passati più di settant’anni da quando il Regno Unito ha promulgato leggi a protezione dei bambini sul luogo di lavoro. Sa d’altronde che a Trevoux, cittadina abbarbicata su una collina che si affaccia sulla Saona, nella regione dell’Ain, come in tutta la Francia, questi principi rimangono in gran parte teorici. Non fa eccezione la sartoria di Madame Gromier, dove dietro la facciata di rispettabilità manifestata da tre donne di mezza età che cuciono intorno a un tavolo al buio e al freddo in compagnia di un’unica candela, si cela un’altra sartoria. L’intuito di Claude la porta a scoprire dietro una macchina da cucire una porta oltre la quale appare una stanza immersa nell’oscurità. La giovane distingue due lunghi tavoli paralleli, non molto larghi, coperti di tessuti vari e con sopra diverse paia di forbici pesanti come sciabole.
“Da entrambi i lati, come da un oceano d’inchiostro, emergono dal nulla almeno otto visetti in fila, con gli occhi preoccupati”.
Interrogate dall’ispettrice del lavoro, le otto operaie bambine dichiarano di avere tra gli otto e i dodici anni e di aver iniziato a lavorare alle sei del mattino. Hanno avuto un’ora di pausa a mezzogiorno, sono ormai le otto di sera e tuttavia spiegano di averne ancora per un’altra ora prima di poter tornare a casa. Terminato il colloquio, Claude manda a casa le piccole, la maggior parte di loro, per arrivarci, deve affrontare quasi un’ora di cammino nel vento gelido. L’ispettrice quasi non fa in tempo ad ascoltare l’autodifesa poco convincente della corpulenta sarta, che alcune voci provenienti dalla strada annunciano che è stato trovato un morto alla trafileria della Grande Argue. Un operaio è stato trovato impiccato agli stessi fili metallici su cui si spezzava la schiena durante il giorno, l’ispettrice del lavoro non può che indagare su questa morte sospetta.
“Buonasera, giovanotto. Sareste così gentile da farci entrare? Sono Edgar Roux, ispettore generale del lavoro dell’XI circoscrizione, e questo è Claude Tardy, l’ispettore dipartimentale che mi accompagna. Siamo autorizzati a recarci immediatamente in qualsiasi luogo di lavoro sia avvenuto un incidente o si sia verificato un decesso”.
Perfetto l’esordio letterario di Cécile Baudin dedicato “Ai miei genitori”, che descrive come funzionavano le industrie alla fine XIX Secolo.
Una ricostruzione storica impeccabile che entra nel cuore di quei laboratori come quello di Madame Gromier, nel quale le tre “lavoratrici ufficiali” si dichiarano tutte sorelle della titolare, perché i laboratori cosiddetti “familiari” sono esclusi dalle recenti leggi a tutela dei minori sul lavoro e non necessitano di controlli.
Saggi quanto prudenti, i legislatori hanno provveduto a rendere sacri gli spazi privati. Fuori questione disturbare l’ordine immutabile, che mantiene la stabilità del lignaggio intorno all’autorità patriarcale. È proprio questo il motivo per cui spesso le grandi case di moda affidano le commesse a questi laboratori familiari, che le recenti normative hanno improvvisamente reso più competitivi: per loro non esistono limiti di orario di lavoro, obblighi di riposo domenicale e, meno ancora, vincoli di età o formalità amministrative.
Paradossalmente, mentre nelle grandi fabbriche le condizioni di alcuni vanno pian piano migliorando, quelle di altri peggiorano all’interno delle mura domestiche. Soprattutto in quelle piccole con operaie invisibili, perché ufficialmente non esistono. Ecco perché Claude Tardy si batte per cambiare i destini già tracciati di quelle piccole mani.
“Pessimo il lavoro che stringe l’infanzia nella sua morsa, che produce ricchezza creando miseria, che si serve di un bambino come fosse un attrezzo!”. Victor Hugo, Mélancholia
La fabbrica dei destini invisibili
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