La lezione di Enea
- Autore: Andrea Marcolongo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2020
La lezione di Enea di Andrea Marcolongo (GLF Editori Laterza, settembre 2020) è un saggio letterario laborioso, nel quale confluiscono riflessioni complesse tra storia antica, letteratura greca e latina e inserti poetici di Giorgio Manganelli (ad apertura dei singoli paragrafi). Andrea Marcolongo, scrittrice, giornalista e cultrice del mondo classico, chiarisce fin dal primo capitolo la genesi di quest’opera, maturata nei mesi di isolamento nella sua abitazione di Parigi. Si tratta di un lavoro che avrebbe voluto scrivere già molto tempo addietro, ma le era mancato il giusto tempo per farlo: il tempo del silenzio interiore.
L’autrice, tra l’altro, ha fatto fatica a reperire i materiali necessari per il suo lavoro, lo dichiara lei stessa, mentre viveva isolata per il Covid-19 nel suo monolocale parigino, e ringrazia le persone che hanno reso possibile la pubblicazione dell’opera.
Chi è l’autore dell’Eneide? Da dove viene?
Basta l’epitaffio, pare dettato dallo stesso autore in punto di morte, per definirne i contorni essenziali:
“Mantova mi generò, la Calabria mi rapì, ora mi tiene Napoli; ho cantato i pascoli, i campi e i condottieri”.
Publio Virgilio Marone è figlio di piccoli proprietari che soffrono per gli espropri dei loro terreni in epoca cesariana e che puntano sull’istruzione del figlio come riscatto familiare e lo mandano a Roma, urbs dalle infinite possibilità, per farlo istruire nella retorica. Professione ben remunerata quella dei retori. Ma Virgilio sceglie di essere poeta!
“È così che intorno al 50 a.C. (o poco prima) un ragazzo nato nei pressi di Mantova si presentò a Roma, nel bel mondo delle scuole di retorica, carico di sogni, di speranze e di ottimismo - e perciò del tutto privo di ogni lungimiranza nel decifrare la precarietà politica del suo tempo.”
La Roma di quegli anni è la capitale di uno Stato che conosce le guerre civili e che, dopo le Idi di Marzo del 44 a.C., sta ponendo le basi per trasformarsi definitivamente in un Impero grandioso. Un mondo in evoluzione che non è più una Res Publica Romana e nella quale il Senato ha un potere più formale che sostanziale.
In modo del tutto casuale, Ottaviano, che sarebbe di lì a poco divenuto Augusto, ad Atella ascolta la lettura delle Georgiche dalla voce del suo stesso autore, Virgilio, e si “innamora” della poesia di questo giovane poeta, al tempo sconosciuto ai più. Ottaviano vuole che il giovane mantovano scriva un poema che lo possa celebrare. Nel 29 a.C., Virgilio acconsente alla richiesta, ma questa si rivela assai faticosa e contraria al suo spirito e alle sue volontà. Intitola il suo lavoro Eneide e fa di Enea il suo eroe poco eroe. Traccheggia, fa un viaggio nel mondo greco con il pretesto di dover visitare i luoghi da raccontare, ma, non vuole completare in verità il suo poema. Perché?
Alla fine, lascia l’opera incompiuta e con diversi macroscopici errori e, morendo, chiede ai suoi amici di non pubblicarla perché la considera incompiuta, e lo è veramente. Non viene ascoltato. Troppa è la necessità per l’imperatore di un poema che lo renda immortale.
Ma chi è il protagonista dell’Eneide? Enea, colui che, in modo troppo sbrigativo, viene definito “il pio Enea”, un guerriero di secondo piano dell’Iliade omerica. Enea è l’eroe che, da Ilio in fiamme, porta in salvo padre e figlio verso un futuro grandioso, lontano dalla Troade, fin sulle coste laziali. Egli ubbidisce alla volontà degli dèi, succube del Fato, nel suo viaggio abbandona la regina cartaginese Didone, anche se la ama. Raggiunge alla fine le coste di Anzio con un solo fine: sposare la figlia di Lavinio e dare vita a una stirpe dalla quale sarebbe scaturito il grande Impero.
La figura di Enea effettivamente è stata sempre sminuita, ridotta a “burattino” delle antiche divinità, quando non è deliberatamente trasformata in una figura patriottica. Per il fascismo, infatti, l’Eneide avrebbe giustificato la necessità di sottomettere i popoli dell’Africa (discorso di Mussolini del 9 maggio 1936).
Nella ricerca di Marcolongo, invece, l’Eneide e il suo protagonista acquistano tutt’altro spessore e immagine. In particolare, riguardo a Enea, l’autrice precisa:
“Mi sono accorta che Enea non mostra nel poema chissà quali gesti emotivi, non perché non ne sia capace. Ma perché non può. La sua non è freddezza né insensibilità. La sua è impotenza."
Anche noi in questa pandemia abbiamo scoperto la nostra impotenza come Enea di fronte al suo destino. L’autrice costruisce questo parallelismo interessante tra noi uomini di oggi e Enea, uomo dell’antichità.
E ancora:
“Ciò che racconta l’Eneide […] non è la storia di Roma né quella di Enea. È la storia di un uomo. Non dell’uomo antico, bensì dell’uomo contemporaneo – persino dell’uomo futuro […], è la storia dell’essere umano in quanto tale, con tutta la fatica che è richiesta per esserlo, e che tuttavia, combatte, insiste, non desiste, quasi sempre si dissipa per essere l’uomo che è”.
Il saggio offre molti rimandi preziosi: sul tempo augusteo; sulla figura di Virgilio, che nelle Bucoliche e nelle Georgiche si mostra più vero e partecipe rispetto alla celebrazione “tiepida” del potere imperiale; sull’incontro tra il colto mondo greco di Enea e i più rustici popoli italici; sull’esametro dattilico che ha fatto faticare generazioni di studenti. Tutto questo e molto altro in questo saggio che richiede una lettura attenta.
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