La mia dislessia
- Autore: Philip Schultz
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Donzelli
- Anno di pubblicazione: 2015
A Rochester, un quartiere povero di New York, si svolge la difficile infanzia del piccolo Philip, figlio di ebrei fuggiti dalla Russia. Il ragazzino a scuola è un disastro, non impara a leggere, è oggetto di feroce bullismo da parte dei compagni, vive una condizione di emarginazione che lo rende violento. Le sue reazioni nei confronti dei compagni che lo dileggiano sono tali da farlo espellere dalla scuola, costringendo la madre ad iscriverlo alla scuola dei disadattati, nella “classe dei cretini”. Nessuno si cura delle sue difficoltà finché all’età di undici anni un suo grasso insegnante gli pone la fatidica domanda: “cosa farai da grande?” e all’allibito Mr.Joyce, nome che resterà nella memoria del ragazzino, risponde: “voglio fare lo scrittore”. In realtà pur se con molte difficoltà Philip ha imparato a leggere.
Ora Philip Schultz, classe 1945, è un famoso poeta americano conosciuto ovunque: con la sua raccolta “Failure” ha ottenuto nel 2008 il prestigioso premio Pulitzer. In realtà lo scrittore è riuscito a capire di essere malato di dislessia solo dopo che la diagnosi è stata fatta in età precoce a suo figlio Eli: solo allora, riandando indietro nel tempo, Schultz ha capito quanta sofferenza, quante umiliazioni, quante ingiustizie ha subito durante il suo percorso scolastico per aver avuto enormi difficoltà nell’atto della lettura.
Neuroscienziati e psichiatri oggi sono in grado di affermare che “mentre tutti veniamo al mondo con la capacità di parlare, la lettura è un atto acquisito... E’ la naturalezza del parlare a rendere la lettura così difficile, perché chi legge deve convertire i caratteri di stampa su una pagina in un codice linguistico – il codice fonetico – e se non ci riesce, queste lettere restano una sbavatura priva di una forma e un senso riconoscibili.”
Dunque Schultz solo da adulto ha capito che la sua è una vera malattia e non è correlata ad un basso quoziente intellettivo, con la scarsa autostima che inevitabilmente ne è stata a lungo una conseguenza. I dislessici hanno grande difficoltà ad imparare le lingue straniere, ecco spiegata la sofferenza che il piccolo Philip viveva quando durante le cerimonie religiose gli veniva chiesto di leggere in ebraico i testi sacri, e lui non era in grado di capire o di leggere i caratteri della lingua originaria della sua comunità. uUna sera della sua infanzia, mentre con la famiglia celebrava lo Yom Kippur, “ho così disperatamente desiderato di essere in grado di leggere le preghiere che quasi riuscivo a sentire sulla lingua il sapore delle parole ebraiche”, ricorda Schultz, che alla fine di un’altra celebrazione aveva scritto una poesia che diverrà un inno per le comunità ebraiche in preghiera:
“Ti chiedono di restare in piedi e chinare il capo,
riflettere sul male che hai causato,
il rispetto che hai negato,
la rabbia inutile, la paura che hai diffuso,
l’impegno mostrato
al servizio del prestigio e della sensibilità…”
Oggi Philip Schultz insegna e dirige la scuola da lui fondata, la Writers Studio, ma l’esperienza più forte, quella che l’ha portato a raccontare ne La mia dislessia la sua storia più intima, è la cerimonia della consegna dei diplomi alla Churchill School di Manhattan, una scuola per ragazzi con difficoltà di apprendimento: dopo un breve intervento, i ragazzi che ricevevano il loro premio cominciarono a salire sul palco e a ringraziarlo, stringendogli la mano, abbracciandolo, sussurrandogli parole di condivisone e di apprezzamento. Ecco allora che il poeta può fare pace con se stesso e il suo senso di perenne inadeguatezza:
“Finalmente cominciavo a lottare contro le vecchie immagini di me stesso come una persona esclusa dalla schiera dei degni. Forse ero degno dell’ammirazione degli altri, forse ero qualcosa di più di un membro permanente della Classe dei Cretini”.
La mia dislessia. Ricordi di un premio Pulitzer che non sapeva né leggere né scrivere
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