La poesia di Gabriele D’Annunzio non è fatta soltanto mito e armonia, di epifania e incanto, ma è anche percorsa dal brivido del tempo. Ben lo dimostra La sabbia del tempo, una lirica scritta seguendo la struttura del madrigale e inserita nella raccolta Alcyone (1905), il terzo libro delle Laudi.
I critici letterari riconducono la poetica dannunziana essenzialmente a due movimenti: il dionisiaco (l’esaltazione ebbra, che ricorda il dio Dioniso) e l’apollineo (i momenti contemplativi che rimandano ad Apollo, dio della bellezza e dell’armonia). La sabbia del tempo tuttavia sembra sfuggire a entrambe le categorizzazioni, imponendosi con una consapevolezza malinconica - a tratti tragica - che si discosta dalla consueta tendenza estetizzante della poesia di D’Annunzio.
I versi allestiscono la metafora della clessidra della vita, ovvero del contenitore per definizione del tempo: non esiste tempo senza umani, in fondo. è la nostra mortalità a definire l’istante che fugge, in un mondo eterno i minuti, le ore, i secondi, non avrebbero senso d’essere. L’impeto vitale - appunto, dionisiaco - che abbiamo imparato a riconoscere nei capolavori dannunziani, quali La pioggia nel pineto o nei versi di Canta la gioia, qui lascia spazio a un sentire metafisico anticipatore della poesia montaliana.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“La sabbia del tempo” di Gabriele D’Annunzio: testo
Come scorrea la calda sabbia lieve
Per entro il cavo della mano in ozio,
Il cor sentì che il giorno era più breve.E un’ansia repentina il cor m’assalse
Per l’appressar dell’umido equinozio
Che offusca l’oro delle piagge salse.Alla sabbia del Tempo urna la mano
Era, clessidra il cor mio palpitante,
L’ombra crescente d’ogni stelo vano
Quasi ombra d’ago in tacito quadrante.
“La sabbia del tempo” di Gabriele D’Annunzio: parafrasi
La sabbia calda del sole estivo scorreva leggera nell’incavo della mano abbandonata inerte nel riposo pomeridiano. Il cuore d’improvviso sentì, con una punta d’angoscia, che il giorno si faceva più breve.
E un’ansia improvvisa assalì il cuore dinnanzi all’avvicinarsi dell’equinozio d’autunno che adombrava già la distesa di spiagge dorate.
La mano diventa urna che contiene la sabbia del tempo (che diventerà cenere? Il rimando all’urna è già presagio, Ndr). Il cuore che batte è come una clessidra che contiene lo scorrere delle ore. Crescono le ombre degli alberi sulla distesa di sabbia e diventano simili all’ombra dell’ago della meridiana su un silenzioso quadrante.
“La sabbia del tempo” di Gabriele D’Annunzio: analisi e commento
Nel testo di D’Annunzio scorrono in parallelo due metafore: la sabbia della clessidra, simbolo del tempo della vita che fugge; e la fine dell’estate, l’equinozio d’autunno, che si fa rappresentazione dell’incedere della vecchiaia.
Non possiamo prescindere da questi due elementi per comprendere appieno il testo della poesia che è intessuto di simbolismi volti a intrecciare la trama di una riflessione antica quanto la storia dell’umanità: qual è il senso della vita? Perché è così breve il tempo della giovinezza?
Non c’è nessuna epifania, nessun presagio onirico in questo canto, tutto è legato al momento fuggitivo e transitorio del presente e in esso si annulla come una polvere che si discioglie nell’acqua. L’io lirico si trova disteso su una spiaggia in un giorno di fine estate e, mentre raccoglie oziosamente la sabbia nell’incavo della mano, comprende l’insidia dello scorrere del tempo che d’improvviso si fa concreta, diventa gesto e si trasfigura nella metafora della clessidra.
La seconda strofa fa riferimento a un tempo reale - la fine dell’estate - ed esistenziale - la vecchiaia, il declino della vita. L’umido equinozio cantato da D’Annunzio si trasfigura, facendosi specchio riflesso della tragicità della condizione umana che si riconosce nel presagio della sua mortalità.
Nei versi finali la mano diventa urna che contiene le ceneri e il cuore palpitante si fa clessidra; c’è quindi una metafora nella metafora: il corpo del poeta diventa tempo in una climax crescente che si conclude con un presentimento di morte.
D’Annunzio non rinuncia a far trapelare l’emozione nei suoi versi: dapprima l’ansia assale il cuore, poi il cuore è palpitante, ed è sempre il cuore, fin dal primo verso, a sentire con un sussulto improvviso che “il giorno era più breve”. Il carpe diem di oraziana memoria nella poesia di Gabriele D’Annunzio si trasfigura guidato dalle pulsioni alla base della poetica del Vate: il dionisiaco e l’apollineo.
D’Annunzio non si limita alla riflessione morale o epicurea sullo scorrere del tempo, ma ci fa sentire la sensazione dello scorrere del tempo sul corpo che diventa clessidra. Il “tempus fugit” dannunziano non è astratto, ma carnale, si traduce nella carne e nel sangue, nella mano che si scopre vuota, nel battito vitale del cuore che non accetta l’idea della fine. Facendoci sentire il tempo attraverso il corpo, vivo, potente, pulsante di umori e desideri, Gabriele D’Annunzio ci fa percepire più distintamente tutta l’ingiustizia della morte. Le ombre precoci che si profilano sulla sabbia dorata, annuncio della fine dell’estate, ricordano l’ago della meridiana: un monito inesorabile.
La drammaticità dei versi viene tuttavia alleggerita dalla musicalità: D’Annunzio non rinuncia all’apollineo della sua poesia, alla tendenza estetizzante dei suoi versi. Il carpe diem del poeta vate viene quindi scritto in stile di madrigale, una composizione lirica e armonica, ariosa, fatta di echi e contrappunti.
Ed è con grazia, con eleganza formale, accompagnando il movimento fisico all’incedere invisibile del tempo, come la musica diretta da un maestro d’orchestra, che Gabriele D’Annunzio ci conduce a comprendere che, in fondo, siamo tutti, ciascuno di noi, delle clessidre viventi.
“La sabbia del tempo” di Gabriele D’Annunzio: figure retoriche
Tra le figure retoriche principali de La sabbia del tempo troviamo:
- Allitterazioni: l’intera poesia assume un ritmo musicale grazie alla ripetizione insistita delle consonanti c e s, una fricativa e l’altra sibilante che restituiscono attraverso i suoni i movimenti opposti del tempo - scandito dal solenne battito delle ore - e della nostalgia umana.
- Similitudini: sin dal primo verso troviamo il “come”, che indica il manifestarsi di una similitudine, la mano del poeta come una clessidra.
- Metafore: l’intera poesia si regge su metafore, la clessidra vivente del corpo umano e l’urna funebre che si fa presentimento di morte. Tramite l’uso delle metafore si indica lo scorrere del tempo attraverso il corpo.
- Climax: D’Annunzio segue una climax ascendente guidando il lettore a provare un’emozione attraverso l’iterazione della parola “cor”. Dapprima il cuore prova un’ansia repentina, poi diventa palpitante, infine in un crescendo di tensione emotiva comprende appieno la “vanità del tutto” (vanitas vanitatum) e la ragione del tempo che fugge (tempus fugit).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La sabbia del tempo” di Gabriele D’Annunzio: la clessidra della vita in poesia
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