La sala da ballo
- Autore: Anna Hope
- Genere: Romanzi d’amore
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2017
“La sala da ballo” (Ponte alle Grazie, 2017, titolo originale The Ballroom, traduzione di Guido Calza) di Anna Hope, narra la commovente storia d’amore di John ed Ella, nata in un manicomio.
1911, manicomio di Sharston nello Yorkshire, contea inglese. Ella Fay, una giovane donna senza famiglia, era stata ricoverata nell’istituto, perché nella filanda in cui lavorava da quando aveva dodici anni, aveva rotto una finestra.
“Mi dispiace. La ripagherò. Ma non sono matta”.
Nel reparto filatura, dove la ragazza lavorava, i vetri erano opachi e c’era così tanto rumore che “ti si offuscava il cervello”. Quindici scellini a fine settimana e nient’altro davanti, giorno dopo giorno ma finestre opache che impedivano di vedere il cielo. Invece Ella voleva vedere quel cielo e la promessa scura e sinistra della brughiera. Era stato un gesto istintivo a far lanciare a Ella un rocchetto verso la finestra più vicina. Il vetro opalino era andato in frantumi e la ragazza era fuggita fuori dalla filanda in cerca di aria pulita e libertà. Purtroppo Ella era stata inseguita dal sorvegliante e in seguito legata e rinchiusa in un bugigattolo, dove la ragazza si era lasciata andare a una crisi isterica.
“Che motivi avevi brutta matta?”.
Però Ella sapeva di non essere priva di senno e di possedere in sé una forza particolare. “Dentro lei era diversa”. Il giovane e riservato irlandese John Mulligan, dagli occhi grigi, era ospite di Sharston, perché depresso in seguito alla morte della figlia e la conseguente perdita del lavoro, seguita dall’abbandono della moglie. Ogni venerdì sera per due ore, i degenti che si erano comportati bene durante la settimana e non si erano mostrati insolenti con il personale, erano invitati a ballare nella sontuosa sala da ballo dell’istituto. L’edificio dal profilo turrito, costruito in pietra arenaria, con la sua torre campanaria di dieci piani, somigliava a un castello fiabesco. Gli uomini erano tenuti rigorosamente separati dalle donne in due padiglioni e s’incontravano solo in occasione del ballo. La sala, posta nel cuore della costruzione, era di stupefacente bellezza: trenta metri per quindici con un grande palcoscenico all’estremità. Sedici finestroni ad arco con bellissime vetrate colorate illuminavano il parquet in legno mentre il soffitto era rivestito di pannelli dorati. Ella e John, due anime alla deriva, si erano incontrati e si stavano rivelando l’uno all’altra a ritmo della musica.
“C’era un che di gentile in lui”.
Nello stesso periodo il governo inglese stava per presentare
“il disegno di legge per il controllo dei deboli di mente”
che sarebbe stato approvato dal Parlamento, dopo diverse modifiche, nel 1913 nella forma del Mental Deficiency Act, che avrebbe consentito la segregazione dei “deboli di mente”, con l’esclusione del cruciale articolo che avrebbe potuto portare alla sterilizzazione obbligatoria.
Una prosa elegante e coinvolgente narra l’amore tra John ed Ella, un sentimento forte capace di superare ogni ostacolo. Anche in un luogo di sofferenza e reclusione si può sognare una vita diversa, perché si può imprigionare un corpo ma non lo spirito. L’autrice inglese per la redazione del romanzo si è ispirata alla storia del suo bisnonno irlandese, John Mullarkey, che fu ricoverato presso il manicomio chiamato Menston Asylum, sito nel West Riding dello Yorkshire. Alla fine del romanzo Anna Hope rivela
“Venire a conoscenza della sua storia mi ha commossa in modo quasi insostenibile. Questo libro è dedicato alla sua memoria e per scriverlo mi sono ampiamente documentata”.
“E mentre la guardava ballare con gli altri, sentiva in sé una smania nuova e dolorosa”.
La sala da ballo
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All’interno dell’immaginario sanatorio di Sharston nello Yorkshire, ispirato al manicomio in cui fu degente il nonno della scrittrice Anna Hope, prende vita il romanzo "La sala da ballo", dove si incrociano le vite di John ed Ella.
All’alba della proposta in Parlamento, nel 1913, della legge sui "deboli di mente", di cui "si consigliava" la segregazione e talora anche la sterilizzazione (fortunatamente mai approvata), la giovane Ella, per aver rotto, in filanda, una finestra, alla ricerca di luce e aria, si ritrova ricoverata in manicomio. Quella che al principio, giustamente, le appare impossibile da sostenere, diventa più vivibile grazie alla giovane donna Clem, colta e riservata lettrice, che la aiuterà ad ambientarsi.
“Ci sono tre modi per uscire da qui. Puoi morire… Puoi fuggire… Oppure puoi convincerli che sei abbastanza sana per andartene.”
A occuparsi dei pazienti c’è il dott. Fuller, che si impegna a far entrare la musica e il ballo nella cura della mente e dello spirito.
In occasione dei balli, in questo salone quasi fiabesco, cui accedono solo i pazienti più meritevoli, unico luogo di incontro per i pazienti maschi e femmine, si incontrano, si osservano, si conoscono la giovane Ella e il taciturno John.
La scrittrice ha ben saputo narrare la disperazione dei segregati, la crudeltà dei sorveglianti, in un ambiente incolore, faticoso, apatico, in cui, pertanto spicca maestoso questo salone arabescato, con un palco per i musicanti, unico angolo in cui potrebbe nascere qualcosa di bello! La prosa tiene il ritmo, non stanca, lascia alta la tensione fino all’epilogo!