La salvezza e il pericolo di Adriano Labbucci

Poco più di cento pagine sono necessarie ad Adriano Labbucci per immergerci in una serie di domande che riguardano tutti noi, “uomini di buona volontà”, domande di senso sul significato della vita, del valore della spiritualità in questi tempi di crisi, del ruolo che può assumere la chiesa cattolica oggi che al pontificato è salito un uomo venuto da lontano, il primo papa gesuita, latinoamericano, dal nome simbolico, Francesco.

La salvezza e il pericolo di Adriano Labbucci è diviso in tre parti ognuna delle quali analizza un diverso tema. “Beato chi custodisce le parole profetiche” ha come spunto il ruolo del profeta, non chi predice il futuro ma chi sa leggere il presente, coinvolto profondamente nei drammi del suo tempo, capace di decifrare i segni dei tempi e quindi orientare la politica.
Ecco allora che partendo dai grandi profeti dell’Antico Testamento, Geremia, Giona, Amos, Samuele, dai Vangeli, Labbucci si interroga sul ruolo profetico di grandi pensatori: Machiavelli, l’autore de Il Principe, uomo di frontiera che alla conclusione del trattato “Esorta a prendere l’Italia e a riscattarla liberandola dai barbari”; Pier Paolo Pasolini, capace “di raccontare agli italiani cosa stava accadendo e dunque il futuro che li aspettava”, o Massimo Cacciari secondo cui l’assenza della voce profetica nel nostro tempo è “il venir meno della contraddizione che fonda il Politico. La fine della profezia è il fondamento della de-politicizzazione”.

Nella seconda parte, quella dedicata alla spiritualità, la riflessione dell’autore si sposta sulla diversità dei linguaggi che rispondono a domande comuni: parole chiave come conflitto, testimonianza, contemplazione, vita activa, homo faber, illustrano altrettante posizioni di uomini e donne che hanno vissuto diverse forme di spiritualità, da Gandhi ad Hannah Arendt, da Dossetti ad Enzo Bianchi fino ad una personalità poco nota da questo punto di vista, Dag Hammarskjöld, Segretario generale dell’Onu, morto misteriosamente nel 1961 al ritorno da una missione in Congo, Premio Nobel postumo per la pace. Nel palazzo di Vetro a New York aveva fatto costruire una stanza vuota dedicata alla meditazione, alla preghiera e al silenzio, dove potessero incontrarsi “persone di fedi diverse e per questa ragione non si poteva usare nessuno dei simboli a cui siamo abituati nella nostra meditazione”.

Nell’ultima parte del libro irrompe la figura di papa Francesco, della sua rivoluzione, delle sue radici, della grande novità che i suoi gesti stanno portando in una chiesa che il cardinale Martini, gesuita anch’esso, aveva così descritto poco prima della sua morte:

“La chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della chiesa lievita; i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi…”.

L’elezione di Francesco e il suo cambio di stile, la novità dei suoi gesti, la prossimità ai poveri, la ricerca di dialogo e la flessibilità su temi spinosi come la sessualità, i sacramenti ai divorziati, il celibato, mostrano un passo diverso, più vicino alle idee profetizzate dal cardinale Martini.
Un uomo eletto papa a 77 anni avrà il tempo di portare la chiesa a fare quel cammino di discernimento per comprendere cosa è stato perso, cosa deve essere conservato, partendo dalle radici e guardando con fiducia al futuro?

Un libro pieno di citazioni, pieno di interrogativi, con tante risposte date nel tempo da illustri pensatori, ma che propone a ciascuno di noi di misurarsi con la personale fede, personale fiducia nella politica, nel vero significato di termini spesso abusati come laicità, democrazia, riforme.

Un percorso spirituale interessante e stimolante, per credenti o non credenti, per tutti gli uomini e le donne che sentono di condividere le parole del poeta caro allo stesso papa Francesco, Holderlin:

“Dove però è il pericolo / anche ciò che salva cresce”