La seconda estate
- Autore: Cristina Cassar Scalia
- Genere: Romanzi d’amore
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2014
Ci sono luoghi che ammaliano, stregano, incantano, “ubriacano i sensi”, non solo per la bellezza naturalistica o storica ma perché capaci di evocare persone che li hanno già vissuti, in un’altra vita, in un’altra stagione; se ne può udire il suono delle voci, immaginare con gli occhi della mente ciò che è stato. Ci sono luoghi eternamente sospesi tra cielo e terra, tra
“l’estetismo decadente di pochi e lo spirito eccentrico di molti”.
Capri è uno di questi:
“Un capolavoro di architettura costruito senza architetti”
E’ come superare una linea di confine, uno stargate, in cui la dimensione spazio-tempo si annulla, per immergerci in un cosmo e microcosmo sconosciuti, dal carattere esotico, sensuale, enigmatico, d’inquietante bellezza, quasi fatato, che sicuramente non ci appartengono ma ci seducono, ci affascinano, e inaspettatamente, ci coinvolgono.
E poi c’è lo stile Capri, come lo definì negli anni Venti l’architetto Edwin Cerio. Ma cos’è? E’ bellezza, leggerezza, eleganza minimale e senza orpelli, vita sorridente, semplice, meno artificiosa possibile; nasce nella notte dei tempi e il primo artefice ne fu Tiberio e, poi, Axel Munthe, Curzio Malaparte, Pablo Neruda, Audrey Hepburn, Brigitte Bardot, per culminare negli anni Sessanta del Novecento, gli anni del boom economico,della dolce vita di felliniana memoria.
Il suo cuore pulsante è la piazzetta, i rintocchi dell’orologio battono le ore della mondanità che sciama fra i tavolini, la colonna sonora è Luna caprese, la cui eco, rimbalzando sui Faraglioni, guardiani dell’isola, si diffonde nell’aria, “ruffiana complice” di amori impossibili, proibiti da un “moralismo” di facciata, ipocrita e bigotto. Sarà stato un “folletto spiritoso” a sussurrare a Cristina Cassar Scalia di ambientare con incosciente coraggio, “La seconda estate” (Sperling & Kupfer, 2014), in un set naturale come Capri, così “sfruttato”, innumerevolmente reiterato, da letterati, poeti, cineasti, senza temere il peso del confronto o il rischio di un progressivo appiattimento narrativo? Ma i folletti sono ironicamente dispettosi, amano sbigottire. Ed è così che l’autrice, al suo esordio, stupisce con una lettura intensa, verga pagine increspate di passione, di romanticismo ottocentesco; il romanzo si dipana con una ”virtuosistica” conduzione dell’intreccio fino a quando la scrittrice come direbbe Pirandello, “piglia il fatto per la coda” concentrandolo in un “punto focale”, al culmine, quando la narrazione troverà esplicitazione nella linearità di una “fiaba d’amore” vissuta due volte.
Il ritmo, come composizione musicale (Camilleri docet!) passa dai tempi mozartiani dell’allegro e dell’andante al largo verdiano di “croce e delizia al cor”.
Piove, piove sulle strade di Roma in un freddo pomeriggio di marzo, anonimo, uggioso; piove sulla vita di Lea, sente le gocce d’acqua rigarle la pelle come lacrime. Ed ecco, l’elemento sorpresa che squarcia un ventennale oblio, dalle cui profonde viscere si materializza un volto, Giulio, sì proprio lui, Giulio Valenti. Basta uno sguardo, un fugace saluto e sembra ieri:
“ancora senza respiro, con il cuore in tumulto e un nodo in gola”.
Eppure :
“È una storia lontana… tanto lontana... vent’anni e una vita”.
Tutto sparisce intorno a lei, chiude gli occhi, e con un viaggio a ritroso, dai labirinti della mente emergono ricordi sfocati, poi sempre più nitidi: variopinte case di pescatori che come “emanazione della roccia” si tuffano a mare, barche tirate a riva in un tutt’uno con la vita quotidiana. Tutto è saturo d’ azzurro, giallo e verde. Corre l’anno 1962 a Marina Grande e Lea Corsi è a Capri. Un incontro fatale e nulla sarà come prima. E’ sintonia totale, affinità elettiva che investe anima e corpo, intimità viscerale radicata nell’inconscio, chimica pura, incontrollabile, “sentimentalmente” irrazionale. E’ felicità repentina, fugace, difficile da sostenere per una donna sposata in quegli anni dove il “matrimonio è per sempre”, consumata nell’intimità di una villa misteriosa, per perdersi nell’attimo fuggente di un tragica sciagura. Poi niente, un lungo distacco, giorni interminabili di silenzio e un “prezioso segreto” che lega presente e passato. Galeotto è un incontro a teatro e il fato terribile e capriccioso offre ai protagonisti una seconda opportunità.
“La seconda estate” è una gemma letteraria che si rifà alla purezza dell’amore cortese o fin amor cantato dai trovatori provenzali del XII secolo, Cristina Cassar Scalia, con linguaggio colto, quasi altero, descrive i luoghi minuziosamente, nei dettagli, ipnotizzando il lettore, “spingendolo” dentro la storia a passeggiare lungo la via Krupp, a villeggiare alla Canzone del mare, alla Migliera o sul monte Solaro piuttosto che navigare fino al faro di Punta Carena, per rubare al tramonto gli ultimi raggi di sole, per vivere la notte fino all’alba. Come pittori, con gli occhi della fantasia, ci immaginiamo di dipingere una tela, con Lea e Giulio a bere un Martini ai tavolini, mentre Liz Taylor e Richard Burton si scambiano baci furtivi, Brigitte Bardot, a piedi nudi, si offre ai lampi al magnesio dei paparazzi e, in un tavolino seminascosto, Pablo Neruda sottovoce declama la sua:
“Capri, regina di rocce / nel tuo vestito color giglio e amaranto / son vissuto per svolgere dolore e gioia / la vigna di grappoli abbaglianti conquistati nel mondo / il trepido tesoro d’aroma e di capelli / lampada zenitale, rosa espansa, arnia del mio pianeta”
l’isola dell’amore, un pezzo dell’Olimpo donato agli umani, dove l’impossibile diventa possibile, anche una seconda volta, per “La seconda estate”.
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