La spada di Radetzky
- Autore: Massimo Zoppi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2011
Sappiamo di Radetzky, delle sue capacità militari, della durezza con cui di questo anziano feldmaresciallo represse nel 1848 i moti filoitaliani in Lombardia. Non sapevamo della condizione delicata del suo esercito nel Lombardo-Veneto, delle diserzioni che ne avevano indebolito la compagine. Viene a colmare questa disinformazione, sorprendendo non poco, un bel volume pubblicato nell’ottobre 2011 dalle edizioni bassanesi Itinera Progetti: “La spada di Radetzky” (180 pagine, 50 tavole, 7 cartine, 18 foto, 27 euro), realizzato in collaborazione con l’Istituto del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, per i testi di Massimo Zoppi.
Al di là degli aspetti storici e secondo lo stesso autore, il volume è nato per rispondere alle domande gli venivano poste sulle uniformi ed equipaggiamenti, soprattutto in relazione agli Stati dell’Europa Centrale, dove ha lavorato a lungo.
Zoppi, giornalista udinese appassionato di modellismo e storia, collezionista e pittore di soldatini, ha collaborato a diverse iniziative culturali ed editoriali aventi per oggetto la Repubblica Veneta e le armate asburgiche.
Un validissimo apporto glielo garantiscono le tavole a colori di Ilario Bailot, eclettico pordenonese di nascita ma di sangue veneziano, laureato in medicina, artista e studioso di storia militare d’ogni tempo.
Si diceva dei problemi insospettabili dell’esercito asburgico a metà 1800. A partire dalla battaglia di Lipsia del 1813 e non prendendo parte a quella di Waterloo, i soldati dell’imperatore vissero tre decenni e mezzo di ozio. Dopo tanti anni di pace, la bufera arrivò improvvisa, ma non del tutto inattesa.
Quando tutte le maggiori città dell’impero insorsero, in neanche tre settimane, a metà di marzo del 1848, l’Ungheria cercò di rendersi indipendente e gli Stati italiani dichiararono guerra a Vienna. Fu allora che l’armata austriaca nel nord della penisola perse per diserzione un terzo degli effettivi.
Tutto sembrava perduto, eppure bastarono pochi mesi all’ottantaduenne Radetzky per portare alla vittoria una forza militare sulla quale non si faceva più affidamento da decenni. Quell’esercito che si riteneva buono al più a marciare in parata, riuscì a superare una prima fase di sbandamento e a ritrovare coesione tra soldati di nazionalità che nella propria terra si scontravano per la libertà dei rispettivi popoli. Infatti, al comando del feldmaresciallo combatterono, morirono e vinsero, fianco a fianco, ungheresi, croati, rumeni, serbi, lombardi e veneti.
L’Austria di Metternich era tedesca, per quanto periferica rispetto al mondo germanico, ma gli Asburgo regnarono per secoli su paesi e popoli molto diversi, tanto per lingua quanto per condizioni. Dieci nazionalità disparate, eppure la statalità austriaca e la mentalità germanica consentirono l’evoluzione materiale e intellettuale di quelle più arretrate, riconoscendole in quel quadro generale paritario di lingue e tradizioni che viene definito “cultura mitteleuropea”.
Contrariamente alla concezione rivoluzionaria francese, che concepiva la Nazione come un’ideologia condivisa e accentrata, lo Stato asburgico era considerato “un organismo naturale, dotato di un suo genio specifico che prendeva corpo nella lingua, nelle tradizioni e nel diritto di famiglia”.
L’indice del volume prevede capitoli dedicati all’impero austriaco durante la Restaurazione, all’esercito nello stesso periodo, alla marina da guerra in Adriatico, compresa la fanteria di mare che costituiva la componente umana della forza navale, insieme al corpo degli equipaggi e all’artiglieria.
Spazio poi alla sezione sulle uniformi e dotazioni, prima di chiudere la parte saggistica con la cronologia delle vicende storiche e delle campagne militari nel 1848-49. In appendice, biografie e documenti, atti e indicazioni tecniche sull’esercito austriaco, l’armamento e l’equipaggiamento.
I figurini riprodotti a colori al centro, nelle tavole disegnate da Bailot, riproducono gli avversari che i soldati del Regno di Sardegna videro schierati sul lato opposto del campo di battaglia.
Ci sono i fanti e i granatieri con gli alti sciaccò neri in testa e le casacche bianche sui pantaloni azzurri. D’inverno indossavano un cappottone grigio-marrone, issavano sulle spalle capaci zaini da campagna, con la coperta arrotolata superiormente, dietro la testa e due bandoliere bianche incrociate sul petto.
Schuetzen e cacciatori tirolesi preferivano il grigioazzurro, senza rinunciare al tipico pennacchio sul berretto scuro.
Gli artiglieri agivano con tenute più sobrie, giacche marrone su calzoni azzurri.
I cavalleggeri sfoggiavano uniformi vistose, eleganti, forse eccentriche, caratterizzate da tanti ammennicoli che arricchivano i caratteristici giacchini corti (dolman) abbelliti da alamari argentati degli ussari (verdi su pantaloni avorio di pelle o rossi o azzurri su calzoni grigi o azzurri), inconfondibili per il colbacco in pelo. Appena più sobria la tenuta degli ulani, i lancieri: giacche in prevalenza verdi, con risvolti e cuciture rosse.
Se i dragoni adottavano il bianco, con polsini e colletto colorati, i corazzieri brunivano in combattimento i caratteristici pettorali in metallo, che indossavano orgogliosamente sulle giubbe candide.
La spada di Radetzky. Le armate imperiali dalla Restaurazione alla Rivoluzione 1836-1849
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