La storia della brigata Sassari. Nella Grande Guerra dal Carso all’altipiano di Asiago
- Autore: Lorenzo Cadeddu
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Sassari e Reggio furono brigate d’élite nella Prima Guerra mondiale composte interamente da sardi. La formazione di unità di fanteria su base regionale era una rara eccezione nei reparti italiani; in tutti gli altri si preferiva combinare commilitoni di provenienze diverse, dai territori del Nord, del Centro, del Sud e dalla Sicilia. Soltanto i giovani delle province di tutta la Sardegna avevano dimostrato di offrire migliore prova di sé tutti uniti, a emulare e superare l’uno la “balentia” dell’altro. Ai “Dimonios”, i “diavoli rossi” con le mostrine biancorosse del 151° e 152° reggimento e biancoverdi del 45° e 46°, il colonnello dell’Esercito Lorenzo Cadeddu ha dedicato una serie di saggi storici. La storia della brigata Sassari. Nella grande guerra dal Carso all’altipiano di Asiago è il terzo, apparso nei primi di quest’anno nella collana “Storia delle brigate Sassari e Reggio nella Grande Guerra” delle edizioni udinesi Gaspari (febbraio 2024, 144 pagine) con foto in bianconero in un inserto e qualche cartina nel testo.
Alto grado della riserva, proveniente dal servizio permanente, sardo di origine e di tempra, ricercatore e scrittore di storia militare, il collonnello Cadeddu è una firma nota su riviste prestigiose e sulle copertine di numerosi volumi, in gran parte editi da Gaspari, anche come coautore. Nato a Gergei in provincia di Nuoro, è Ufficiale al Merito della Repubblica, ha conseguito la Medaglia Mauriziana di lungo servizio, è insignito della Croce Nera d’Onore austriaca e presiede il Centro Studi Storico Militari sulla Grande Guerra “Piero Pieri” di Vittorio Veneto, dove risiede.
China su fronte, si ses sezzidu pesa! Abbassa la fronte, se sei seduto, alzati!
Il reparto con la “migliore gioventù di Sardegna”, venne costituito nei primi mesi del 1915, traendo il personale dai Depositi della brigata Reggio (appartenente all’esercito permanente anche in pace). La Sassari era perciò una brigata di Milizia Mobile, costituita esclusivamente per le necessità della guerra. Con la Macerata andò a costituire nel Bresciano la 25a divisione, spostandosi nella terza decade di luglio sul fronte della terza armata, sul basso Isonzo. Il 25 entrò in linea sulle posizioni a sud del Monte San Michele, davanti agli ungheresi della 20a divisione Honved.
Dopo turni di trincea alternati a periodi di riposo e riordino, alla Sassari venne assegnato nel corso della quarta battaglia dell’Isonzo il compito di occupare due trincee dalla pessima fama, contro le quali si erano dissanguate le migliori fanterie italiane. Le occuparono il 14 novembre 1915, meritando dal Comando Supremo la fino ad allora inedita citazione di un’unità nei bollettini di guerra (che si limitavano a raccontare le azioni).
Sul Carso è continuata ieri l’azione [...] Gli intrepidi Sardi della brigata resistettero saldamente sulle conquistate posizioni ’delle Frasche’ e con ammirevole slancio espugnarono altro vicino trinceramento, detto ’dei Razzi’. Fecero al nemico 278 prigionieri, dei quali 11 ufficiali.
A dimostrazione del carattere dei sardi valga, nel racconto di un ufficiale, uno dei tanti esempi di grinta e saldezza morale offerto da un soldato isolano. Dopo le sanguinose spallate italiane del 1916, l’inverno aveva imposto una stasi delle operazioni, puntellata da limitate azioni locali, per tenere “svegli” sia i propri combattenti che il nemico. Nel preparare un’uscita per far brillare tubi di gelatina sotto il filo spinato avversario, un collega aveva interrogato i soldati che avrebbero agito con lui. A un soldato di Sardara, Piano Antioco, il sottotenente aveva chiesto se avesse del fegato e si era sentito rispondere in dialetto stretto:
Se me l’ha messo mio padre, certo che ce l’ho.
L’autore non glissa sul controverso episodio dell’ammutinamento della Sassari, nella seconda decade di gennaio, quando la brigata si trovava a riposo a Campolongo e Armellino. Tra gli altri citati nel libro, a riassumere i fatti è un testimone obiettivo, l’ufficiale inferiore Alfredo Graziani. La notizia era diventata più grave strada gerarchica facendo ed era arrivata distorta fino a Cadorna, che pretese rigore e punizioni severissime.
Graziani era amico del poi scrittore e politico Emilio Lussu, l’autore del leggendario Un anno sull’altipiano che a sua volta illustra la “sardizzazione estrema” attuata nella brigata. Su disposizione del Comando Supremo, i non-sardi venivano assegnati ad altri reparti e solo a pochi sottufficiali, sassarini dal primo giorno, venne concesso il privilegio di restare. Quanto agli ufficiali, i sardi non sarebbero bastati a sostituire chi cadeva e arrivarono perciò parecchi non isolani di varie regioni. Ma tutti si “sardizzavano”.
Interessanti le precisazioni sull’impiego dei prigionieri di guerra austroungarici, in una Sardegna senza uomini, chiamati in centomila alle armi (13 mila morti e decine di migliaia di feriti e mutilati). Lorenzo Cadeddu cita il lavoro di un ricercatore iglesiente, Giorgio Madeddu (La Damnatio ad metalla, Gaspari, 2018). Asinara, Monte Narba, Monteponi, Terras de Collu sono i luoghi legati allo sfruttamento come forza lavoro da parte di Società minerarie e imprese agricole. L’impiego dei prigionieri di guerra non fu immediato - vissero a lungo nella noia, nell’inedia e tra le malattie - per le resistenze anche dei sindacati operai, che temevano la concorrenza di braccia con conseguenti riduzioni dei salari. Prima con cautela, poi largamente, le autorità militari concessero prigionieri per lavori in miniera, agricoli, di forestazione e costruzioni civili.
Sull’isola c’era chi lamentava da tempo che altrove, “nel Mezzogiorno, ma specie in Liguria”, approfittavano di quella manodopera gratis per sistemare strade di campagna. Scriveva l’avvocato Lei-Spano:
Il Comune di Sassari sta riparando con l’opera dei prigionieri le strade vicinali. La decisione anche se tardiva merita lode incondizionata.
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