La versione di Vasco
- Autore: Vasco Rossi
- Genere: Musica
- Casa editrice: Chiarelettere
- Anno di pubblicazione: 2011
Un appunto personale, per quel pochissimo che conta: aduso com’ero ai pontifici militanti di Lolli & Guccini, ho sempre guardato con qualche diffidenza al nichilismo rock di Vasco Rossi. Che fosse un cattivo maestro (per via delle vite spericolate che andava idealizzando) però non l’ho mai pensato. Un interprete del nostro tempo sbandato, piuttosto; un cantautore senza tetto né legge, un libertario che, perciò, col passare degli anni e il rintuzzarsi dei furori ideologici, mi è persino divenuto simpatico. Ho scoperto, insomma, che Vasco c’era e non ci faceva e per questo, forse, ha inteso guardare in faccia il suo “mal de vivre” senza striminzirsi in fedi di facciata, rimozioni di comodo, ripiegamenti pop.
Aldilà del pregiudizio e della mitologia, un uomo poco comune, dotato di chitarra e di una coerenza/sincerità quasi disarmante.
C’è una frase ne “La versione di Vasco” (Chiarelettere, 2011) che mi ha dato da pensare, tra le altre, una frase nuda e cruda, diretta, senza orpelli, capace però di raccontare lo scarto che passa tra individuo e rockstar meglio di tanti panegirici:
“Non sono mica Vasco Rossi io. Sono una persona, sono un uomo, mica un eroe invulnerabile come Achille. Dove mi colpisci io sanguino, Vasco Rossi no, lui non sente niente”.
Il libro trabocca di pensieri & parole di siffatta specie, a riprova del fatto che anche i duri hanno un cuore e, certuni (udite! udite!), persino un cervello pensante, ancorché malmenato da angoscia e malinconia sotto la corazza di fenomeno di massa. Una biografia anomala alla boa dei suoi primi sessant’anni, e non poteva essere altrimenti, essendo allestita di suo pugno e satura com’è di speculazioni minime e vita vissuta, stilate senza alterigia, senza sicumera da vate delle sette note.
“La versione di Vasco” (dopo quella celeberrima di Barney di M. Richler, ricordate?) sotto mentite spoglie dell’excursus biografico diventa per Rossi occasione per allenarsi da filosofo, cimentarsi coi concetti alti e bassi del vivere (e spesso anche del morire) quotidiano. Tagliando trasversalmente droga, musica, anarchia, libertà, Dio, De Andrè, solitudine, amicizia, Zocco, donne-motori-figli (non necessariamente in quest’ordine), errori, live, entusiasmi e malinconie, viene fuori il quadro a tutto tondo dell’universo-Rossi. Un Vasco Rossi che non sarà poeta di caratura deandreiana (e chi lo è, del resto?), ma sodale compagno di strada, con cui dividere cavolate, sbronze, sgambetti della sorte, azzardi notturni e metafisici, sicuramente.
In ultima analisi, un libro che è anche il tentativo - dopo decenni of course tra polemiche, in cui di Vasco Rossi si è detto, scritto, vociferato tutto e il contrario di tutto - di mettere le cose in chiaro - e a posto - una volta per sempre. Per dirla con le sue stesse parole:
“Ognuno ricorda le cose alla sua maniera, ognuno un po’ se la racconta. Le biografie sono tutte false. Io sono stato franco. Con questo libro di dichiarazioni forse si capirà di più la mia versione. La versione di Vasco”.
La versione di Vasco
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