La vita che mi spetta
- Autore: Andrea Priante
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Fernandel
- Anno di pubblicazione: 2018
Il giornalista vicentino Andrea Priante si è totalmente immerso nella storia vera che ha coinvolto il bancario di Adria Gabriele Andriotto in una vicenda che sembra romanzesca, ma non lo è stata. La capacità del giornalista esperto in cronaca giudiziaria di vivere con profonda empatia la storia a dir poco insolita che ha cambiato la vita dell’uomo, che in questo libro, "La vita che mi spetta", si trasforma in personaggio emblematico, dimostra consuetudine professionale, ma anche grandi doti di sensibilità umana.
La storia di Gabriele dunque è raccontata come un romanzo, che comincia con un finto suicidio accuratamente preparato da chi si sente profondamente in colpa per aver agito nella filiale della banca in cui da anni presta servizio in modo a dir poco disinvolto, giocando in segreto con i soldi dei risparmiatori, modificando documenti, agendo in modo non corretto e trasparente, anche se, alla fine, non risulterà dal suo modo di agire alcun arricchimento personale. Gli anni delle tempeste finanziarie, della crisi dei mutui, delle perdite in borsa, dei fallimenti, non sembrano sfiorare gli entusiasti clienti del ragionier Andriotto, che presenta ai suoi risparmiatori finti resoconti rassicuranti: non perdono mai, anzi guadagnano spesso, e questo permette a lui che maneggia denaro godendo piena fiducia da parte dei superiori di muovere enormi masse di denaro spostandole abilmente, ma rischiando grosso.
Quando si accorge che i suoi movimenti arbitrari rischiano di essere scoperti, mette in scena il suo finto suicidio, un po’ come il pirandelliano Mattia Pascal: anche lui sarà un “fu”, anche lui abbandona la famiglia: la moglie da cui è separato, Marilù, ma con cui ancora convive, la figlia Giulia, studentessa universitaria a Bologna, la mamma e la nuova compagna Elena con la quale non è riuscito a costruire un vero stabile rapporto sentimentale. Gabriele fugge da tutto e da tutti, dalle proprie responsabilità professionali, da quelle di padre, di figlio, di compagno. Un treno lo porta in Puglia, in un paese lontano, piccolo e sconosciuto, dove comincia a costruire una vita diversa, partendo da zero. Non ha che poche centinaia di euro, l’abito che indossa, pochi libri, la carta d’identità. Per mesi riuscirà a vivere di niente, rovistando nei rifiuti, riadattando un capanno in piena campagna, lontano dal centro abitato, contentandosi di mangiare cibi abbandonati da turisti consumisti e frettolosi. Un’economia di sussistenza, di sopravvivenza ridotta al minimo delle necessità. Gabriele cambia aspetto, magrissimo, barbuto, tonico, gira per chilometri in bicicletta, fa lunghi bagni al mare, lui che non sapeva nuotare, si nasconde, legge, dorme, ripercorre il suo passato, talvolta si ferma in paese per una festa, mescolandosi tra la folla o fermandosi in un bar: riduce al minimo i contatti con gli altri, temendo di essere scoperto. Intanto al suo paese la figlia non crede al suo suicidio, come non ci crede il magistrato incaricato dell’inchiesta.
Alla fine il proprietario del terreno dove si è rifugiato, prima un capanno per gli attrezzi agricoli e poi un trullo ridotto ad un rudere, lo denunciano e i carabinieri lo costringono a tornare ad Adria e ad affrontare le conseguenze del suo operato. Tornerà alla vita normale, ma sarà un’altra vita, diversa, perché lui è diventato un uomo diverso. Imparare a fare chilometri per riempire una tanica d’acqua, a difendersi dagli agenti atmosferici, ma nello stesso tempo ad assaporare il “profumo della libertà, non volendo essere più schiavo della vita” ha segnato definitivamente la sua esistenza, e Andrea Priante è riuscito, con il suo lungo e paziente lavoro di scavo nella esperienza del suo personaggio, a dar conto delle angosce, delle emozioni, delle lacerazioni che hanno segnato questa storia così vera eppure rappresentata in modo quasi fiabesco. Il nostro Robinson Crusoe nell’isola deserta della parte più lontana della Puglia suggerisce un cambio di prospettive, una liberazione dalla schiavitù che la società dell’opulenza a tutti i costi ci impone, un modo di ripensare la propria collocazione nel mondo attuale che fa bene a tutti noi: “Ho imparato che a volte stare soli è l’unico modo per avere meno paura”, ha affermato Andriotto una volta tornato nel suo eremo, con la sedia blu rivolta al sole caldo, mentre l’amico carabiniere Paolone gli domanda incuriosito come è diventata la sua vita al Nord, dopo la lunga parentesi solitaria. La trama di un film, che aspetta un regista creativo per divenire un esempio praticabile.
La vita che mi spetta. La storia vera del bancario che rischiò di perdere se stesso per salvare i suoi risparmiatori
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