La vita che volevo
- Autore: Maribeth Fischer
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2008
Il romanzo "La vita che volevo" si apre su Grace che sta andando dall’amante. Ma di rosa qua dentro non c’è nulla. Grace, infatti, è la madre di Jack, un bambino di tre anni affetto da una malattia mitocondriale per la quale non esiste cura. Nessuna speranza, e questo vuoto ti dà subito un pugno sullo stomaco, fin dall’inizio.
A ciò si aggiungono gli estremismi del sistema socio-sanitario statunitense: Grace viene accusata di essere affetta da sindrome di Munchausen per procura, un disturbo della personalità che la porterebbe a causare sintomi ripetuti e misteriosi al figlio per attirare l’attenzione di familiari, amici e medici su di lei. Non si sa chi abbia sporto per primo l’accusa, ma molte delle caratteristiche della Munchausen ricorrono nella vicenda di Grace (non da ultima, la sua relazione) e per questo la allontanano da Jack. Lei perderà così gli ultimi giorni di vita del figlio, farà solo in tempo a vederlo morire. Altro pugno nello stomaco.
Ma non finisce qui: il marito la lascia perché ha scoperto il tradimento durante l’udienza per l’accusa di Munchausen e lei resta con gli altri due figli. Se la famiglia si ricompone, è, paradossalmente, solo in seguito all’undici settembre.
La domanda che permea tutto il libro è "cosa resta?"
Di un bambino, di due torri e delle persone che c’erano dentro, di una vita passata insieme... il Caso ha davvero tutta questa potenza, di decidere tra salute e malattia, tra vita e morte, tra tragedia e quotidianità?
Come avrete capito, il romanzo è molto triste. Grace piange spesso e se non piange è in preda ai sensi di colpa, sempre là a chiedersi quando ha compiuto il primo errore. Ma, dato l’argomento, non poteva essere diversamente.
C’è anche, però, il salto ulteriore, dalla vicenda individuale a quella nazionale e poi, ancora più in là, umana: la ricerca di senso.
Questo anelito ci fa perdonare anche i passaggi lenti, che non mancano.
Da leggere tenendo conto della dedica: "In memoria del mio paperottolo".
La vita che volevo
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