Lasciare il segno. Murales, graffiti e tatuaggi
- Autore: Giuliana Stecchina
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Se l’uomo non avesse il dono della parola non potrebbe né essere né esistere. Tutto quello che pensiamo, sentiamo e facciamo viene elaborato ed espresso attraverso il linguaggio, inteso, quest’ultimo, non soltanto come parola scritta o semplicemente detta, ma come insieme di segni e di simboli attraverso i quali noi ci definiamo in rapporto a noi stessi, agli altri e alla realtà che ci circonda, interpellando la nostra riflessione e la nostra capacità di azione. Dall’ultimo trentennio del secolo breve a oggi il linguaggio così inteso ha subito delle rivoluzioni talmente radicali da metterne in discussione tutta la vasta gamma di criteri, di regole, di certezze e di potenzialità semantiche adoperate dall’uomo per articolare, chiarificare e portare alla coscienza personale e collettiva il proprio vissuto interiore ed esteriore.
Giuliana Stecchina, concertista, docente universitaria, scrittrice, giornalista e autrice di una decina di atti unici e di una ventina di sceneggiature con al suo attivo anche numerose collaborazioni televisive e radiofoniche, nel suo saggio Lasciare il segno. Murales, graffiti e tatuaggi (Luglio Editore, 2020, pp. 237) prende l’abbrivio da questo sommovimento tellurico che ha portato alla ribalta linguaggi e modi di espressione che, pur dotati di una storia e di una tradizione dalle radici molto antiche, hanno stravolto le coordinate e la caratura espressiva della parola scritta e parlata, ora annullandola per sostituirla con un cifrario iconico e simbolico, ora potenziandola e caricandola di spinte eversive e di urgenze inconsce legate al mondo della strada e della periferia. Murales, graffiti, stencil, tags, tatuaggi e altre innumerevoli forme di arte visiva che hanno sostituito il foglio di carta del linguaggio scritto e la voce narrante del racconto orale con i muri delle congestionate metropoli moderne, sono passati meticolosamente in rassegna da Stecchina che li studia in modo approfondito, coinvolgendo il lettore in un viaggio affascinante nel cuore tumultuoso e inquieto di un fenomeno epocale.
Stecchina si addentra nel mondo frastagliato di alcune culture alternative la cui fonte più lontana è la rivoluzione industriale che ha spazzato via a livello globale antichi equilibri sociali, economici ed etici che per millenni hanno cementato e sostenuto l’esistenza umana. L’urbanizzazione selvaggia ha soffocato l’anima della terra con le sue metropoli, ha saturato l’etere di veleno con le sue officine e le sue macchine. Ovunque periferie desolate, oppresse e afflitte da una cronica povertà, ansimano di angoscia, di dignità offesa e di ideali negati. La cultura e la conoscenza sono spaventosamente decadute a causa dell’imperio della televisione con i suoi modelli di vita patinati e il suo linguaggio ridotto a un repertorio di gusci vuoti in cui non risuona più alcuna parola autenticamente creativa ed emotivamente intensa. Ovunque, nell’aria, riecheggia tristemente la solitudine generata dai social che hanno sostituito il calore e la vitalità del contatto personale con una pletora di messaggi lanciati nel vuoto di una rete anonima in cui mani tese e cuori assetati incontrano solo il vuoto. In questa cornice, ricostruita da Stecchina in pagine densamente analitiche, campeggiano i “muri che parlano” e correnti culturali e di costume come la street art, l’hip hop, il punk rock e la pop art, solchi profondi e dirompenti in cui il fiume impetuoso del dissenso e della rivolta al sistema scorre liberamente, incidendo con le sue acque corrosive le gigantesche corazze di cemento che imprigionano la vita e lo spirito dell’uomo post-moderno.
Animati da opposti impulsi di vita e di morte, di affermazione o di negazione di sé e della realtà, di vitalità gioiosa e di amarezza, di anelito a una esistenza libera e piena e di impulsi incontrollati di rivolta verso ogni castrante pretesa dell’omologazione culturale, i nuovi linguaggi visivi coprono una tastiera emotiva molto sfumata che ora vira sui colori accesi e vividissimi delle preziose Infiorate e delle Madonne dipinte sulle strade – tanto belle quanto effimere nel loro porgersi colmo di grazia ai frettolosi passanti, simili a fiori sbocciati dal fango –, ora si impasta di tinte acide e notturne che assorbono gli umori infetti di piaghe e ferite profonde provocate dall’esclusione e dall’invisibilità. La stessa duplice reazione, fonte di fecondi ossimori, Stecchina individua nei “fruitori” di questa nuova arte ancora poco studiata: indifferenza, fastidio, rifiuto, oppure curiosità, riflessione, sosta meditante, sussulto di emozioni e di propositi novatori, desiderio di sintonizzarsi su nuove frequenze sensoriali e interiori.
Nel suo saggio Stecchina fotografa l’oggetto del suo studio da ogni angolazione, ne ricostruisce la geografia e la storia, le sorgenti e gli approdi, le incognite e le potenzialità. Dagli aedi del mondo greco arcaico si passa ai menestrelli e ai giullari del medioevo animatori delle piazze ora trasposte nei vicoli di Harlem ove si canta, si fa musica, si danza e si trasformano i muri da baluardi isolanti a ponti di comunicazione libera ed effusiva. Dalle incisioni rupestri e dai fregi dei templi ellenici e cretesi e dalle scritte e dai disegni rinvenuti sulle mura di Pompei – antenati dei nostri graffiti e murales – l’indagine tocca i dipinti e gli affreschi di cattedrali, palazzi signorili e case di ricchi borghesi nel medioevo e nelle epoche successive, fino alle pasquinate romane, megafono del popolo insofferente ai poteri costituiti dell’Ancien Régime. La fase successiva mette in campo il museo custode di capolavori e gli atelier che il rinnovato en plein air della street art ripudia, negandosi ai circuiti ufficiali dell’arte e cercando una pagina del tutto inedita su cui raccontarsi senza alcuna reverenza ipocrita nei confronti dei mercanti fautori di successi costruiti a tavolino.
Anche il tatuaggio, linguaggio visivo antico e nuovo, un tempo ristretto a determinate categorie di persone e ora divenuto un fenomeno di massa, rientra in questa reviviscenza di forme espressive affidate alle strade e alle piazze, al pubblico interesse dal quale ci si aspetta quell’attenzione e comprensione che il mondo riconosce solo a pochi protagonisti dei grandi media, sprofondando la maggior parte della gente nelle paludi stigie della dimenticanza e della trascuratezza. Il muro, scrive Stecchina, viene sostituito dalla pelle, anch’essa limite e insieme tramite, elemento che racchiude e protegge, ma che al contempo comunica con l’esterno. Il complesso sottofondo emotivo ed esistenziale di questa diffusione del tatuaggio al di fuori di ogni limite di età, di appartenenza geografica e sociale ispira a Stecchina pagine di profonda indagine piscologica che evidenziano in particolare il bisogno di essere presenti e di sentirsi presenti, di rompere le dighe di ogni censura per mostrare alla luce del sole la propria interiorità segreta, con le sue storie, le sue paure, le sue gioie, le sue attese e i suoi desideri.
Figlio dell’impoverimento del linguaggio scritto e parlato che, scarnificato sino all’osso dai media e dai social, non riesce più ad attingere le profondità ribollenti dell’anima e dell’inconscio e ad articolarle in un pensiero chiaro e in una visione composita ma nitida, il tatuaggio condensa al massimo in una o più immagini miriadi di messaggi e di comunicazioni, senza bisogno di alcuno sforzo o fatica intellettuale. Questo è uno dei nervi scoperti dei nuovi linguaggi visivi studiati da Stecchina che sa calibrare con grande equilibrio gli aspetti positivi e le criticità dei fenomeni, senza mai perdere l’oggettività dello studioso che si propone di capire e non di giudicare.
Declinando lo studio, in alcuni capitoli dal tono lirico e intimamente pensoso, sulla trasformazione del nostro stile di vita a opera del coronavirus, Stecchina offre un alto contributo alla riflessione su uno degli aspetti più importanti del nostro essere uomini: la parola. Proprio con un excursus sulla Parola intesa come origine e fondamento ontologico l’autrice inizia il suo saggio, dall’incipit del Vangelo di Giovanni, in cui il Verbo è Sorgente di ogni cosa, al Faust di Goethe in cui la Parola è giocata sui tre livelli semantici del “Pensiero”, dell’“Energia” e dell’“Azione”. Questa raffinata tessitura di allusioni pone sin dal principio del saggio un assunto che ci dà molto da riflettere: quale sarà il destino del linguaggio come lo abbiamo sempre concepito e conosciuto? La perdita della ricchezza e della robustezza intellettuale e quindi verbale che hanno reso grandi gli antichi forgiatori di parole eterne incise su papiro, pergamena o carta, dove ci condurrà? Il poeta romantico Hölderlin nell’elegia Pane e vino, come in bilico tra estasi e terrore, prorompe in una domanda perturbante: “Perché i poeti nel tempo della povertà?”. Il poeta è colui che sa trovare parole fondanti che pescano nel profondo, oracolari e profetiche, parole iridescenti di sapienza abissale ed è nel fango della povertà morale di epoche decadenti che si eleva come stella del nord a indicare la via. Il nostro è un tempo di povertà e la sua speranza sono i poeti, cantori che in ogni loro parola sappiano dirci, come il busto di Apollo contemplato da Rilke al Louvre:
“Tu devi cambiare la tua vita”.
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