Le Marche viste e pensate
- Autore: Non disponibile
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Anno di pubblicazione: 2011
Dove conviene fissare il cuore delle Marche? … Urbino … Loreto … Recanati …
Carlo Bo da Città dell’anima. Scritti sulle Marche e i Marchigiani (Pag. 108)
Le Marche sono una regione apparentemente marginale nel flusso delle idee culturali italiane: è solo un’esteriorità, appartenente ai superficiali, ignoranti del valore della provincia.
Non è presente un’effervescenza, dovuta all’attuale sviluppo economico della regione, ma un antico e profondo flusso culturale che ha abitato in questa terra da secoli.
Il delizioso libro a cura di Claudio Nardini, Le Marche viste e pensate (Edizioni Nardini, 2011) descrive questo flusso, canalizzando le idee culturali dai tempi antichi.
La struttura accosta a un dipinto, su cui è rappresentato una città o uno scorcio di una località delle Marche, un testo attuale o del passato contenente una citazione su un luogo della regione.
Spesso sono i santi protettori a tenere in mano la rappresentazione tridimensionale della città, per l’antica e usuale prassi di portare ai santuari questi modellini per grazia ex voto.
I dipinti – oltre al grande valore artistico – scoprono anche momenti di storia.
Ritornano alla nostra vista vedute cittadine scomparse, le quali riappaiano come erano una volta.
Lo studio serve a riscoprire il mondo passato, come un valore archeologico, e soddisfacendo la nostra curiosità di scoprire come era una strada o una piazza frequentata quotidianamente.
È il caso dello scritto di M. De La Lande in cui parla di Pesaro, nella cui piazza principale è svanita la “… grande statua di marmo rappresentante il papa Urbano VIII …” (Pag. 96)
Ovviamente, molti panorami sono cambiati, mutati, scomparsi, fagocitati dalla moderna e deprimente città, eppure ci sono ancora scenari rimasti incontaminati e intatti, come all’epoca dei dipinti.
È il caso clamoroso di Urbino e il suo maestoso e imponente Palazzo Ducale.
La città rinascimentale di Federico II da Montefeltro è un esempio grandioso di sviluppo culturale.
Alla sua corte hanno lavorato degli artisti irripetibili per qualità, i cui nomi sono straripati nel mondo della cultura di tutto il pianeta: i pittori Piero della Francesca, Paolo Uccello, gli architetti Donato Bramante, Francesco di Giorgio Martini, il matematico Luca Pacioli.
Urbino è la “Città ideale”, titolo dello strutturale quadro di ancora incerta paternità (i sospetti maggiori sono per Luciano Laurana, Piero della Francesca, Fra Carnevale).
Nella calma della città si esalta la perfezione prospettica, rappresentando l’ordine e l’irreprensibilità moralità della Polis.
A Urbino nasce nel 1483 Raffaello Sanzio.
Raffaello studiò nella bottega del padre – il pittore Giovanni de’ Santi – in servizio presso la corte urbinate. Non dipinse nulla nella sua città natia, poiché spedito, alla morte del padre, a studiare dal Perugino in Umbria.
Però il suo nome è legato indissolubilmente alla città natale, e il suo immenso valore artistico influenzerà un’epoca intera.
Al movimento del manierismo è assegnata la sua data d’inizio nel 1520, perché è l’anno della morte di Raffaello: la fine del periodo dorato. Il manierismo è un riconoscimento alla sua opera.
Uno dei più importanti pittori della corrente artistica della “maniera’’ fu Federico Barocci, nato e morto a Urbino, lavorando nella città per gran parte della sua vita.
È di Barocci il compito di rappresentare – sullo sfondo di scene religiose – Urbino e soprattutto gli incombenti e svettanti Torroncini del Palazzo Ducale:
La deposizione dalla croce (Pag. 121), Cristo che appare alla Maddalena (Pag. 125), La crocifissione con i dolenti e San Sebastiano (Pag. 133) e Il crocifisso spirante (Pag. 137).
Per la sua smisurata storia è Urbino a sovrastare nel libro.
Però ci sono tante altre città e paesi marchigiani d’importanti pittori come: Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, Lorenzo Lotto, Dosso Dossi, Federico Zuccari, Palma il Giovanne, Giambattista Tiepolo.
La sezione scritta è dominata dal più illustre poeta italiano, nato nel paese marchigiano di Recanati: Giacomo Leopardi.
Come non possiamo esimerci dall’esaltazione dell’arte pittorica e architettonica di Urbino, non possiamo evitare la celebrazione di Leopardi. Le sue terre marchigiane sono la prima fonte della sua poesia.
La torre antica, la campagna, l’armonia della valle, i campi, il gregge è lo spazio aereo su cui vola il passero solitario.
Tanti italiani hanno scritto delle Marche, fra loro l’immancabile Dante con la sua Divina Commedia e i versi dedicati a Fonte Avellana, Fano, Montefeltro, Fiorenzuola di Focara, Lumi e Urbisaglia (Pag. 136)
Fra il settecento e l’ottocento l’Italia è stata metà di tanti intellettuali stranieri in viaggio studio in Italia. Nei loro diari sono tratteggiate immagini dell’epoca, un’Italia ancora rurale. Molti hanno parlato delle Marche: Johann G. Seume, Michel de Montaigne, Charles de Brosses, Valéry Larbaud, Nicholas Audebert, M. De La Lande, Edward Hutton, Thomas Adolphus Trollope, André Gide, Montesquieu, fino al più famoso dei viaggiatori italiani Stendhal.
Inoltre su Urbino scrive lo scrittore di fantascienza Aldous Huxley “ … ma il più bel palazzo d’Italia … “ (pag. 132), in uno dei suoi viaggi non allucinogeni.
L’elegante volume – oltre la bellezza delle immagini – è un esempio per avvicinare l’arte al territorio. Le opere nascono in un posto; se sconfinano perdono la ragione di essere.
L’opera meritoria estetica dei musei ha rappresentato un limite nella deportazione del dipinto dalla propria madre terra verso i gulag museali.
In un museo possiamo riconoscere e apprezzare l’estetica, ma non possiamo inserire il dipinto nel suo ambiente nativo; ci rimangono escluse i perché delle scelte dell’artista.
Un altro urbinate – di adozione – ha combattuto per eleggere questo concetto di arte: Carlo Bo. Da Urbino e utilizzando le colonne del Corriere della Sera ha chiesto il ritorno della Pala di Brera di Piero della Francesca, nel luogo, dove è nata e cresciuta: la chiesa di San Bernardino a Urbino.
Quella chiesta, posta su un colle poco fuori il centro, è riportata nel suo splendore nell’unico dipinto, presente nel libro, di Raffaello: Madonna con il Bambino.
La Madonna è seduta, splendente e umana, come deve essere la Madre di Cristo. Gesù bambino è in piedi sulle sue gambe, e la abbraccia con le sue manine, mentre un piedino è appoggiato sulla mano della madre.
La scena di profonda maternità è accentuata dallo sguardo indifferente verso l’osservatore. Gli occhi di entrambi sono diretti a un coincidente punto a noi sconosciuto.
Sullo sfondo dietro di loro, c’è una collina su cui si erge la Chiesa di San Bernardino, eretta dietro ordine di Federico II, e destinata a essere il mausoleo della famiglia. Doveva essere il contenitore dell’onorata storia dei Montefeltro e la Pala di Brera essere la sua apoteosi artistica.
E in quel luogo per riportare la pace al Duca dovrebbe essere ricollocata.
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