Le ali dell’ibis
- Autore: Gianni Adami
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Gianni Adami, “Le ali dell’ibis. La missione italiana in Somalia 1992-93”, Itinera Progetti, Bassano (gennaio 2018, 230 pagine, 21 euro. Italian do it better, “gli italiani lo fanno meglio”, una giovane Madonna Ciccone sfoggiava qualche decennio fa una maglietta con lo slogan generoso nei nostri confronti. Gli italiani avrebbero potuto fare meglio anche quello che non riuscì agli americani nel 1993: catturare Aidid, il signore somalo della guerra. La nostra intelligence lo aveva individuato, ma la gelosia yankee mandò tutto a monte. Adami, ufficiale di carriera, ne accenna a conclusione di un suo documento eccellente sulla partecipazione delle nostre truppe all’operazione internazionale Restore Hope, di pacificazione della guerra civile tra le fazioni in Somalia.
Sotto l’egida ONU e a guida USA, l’impegno di forze militari di numerosi Stati, tra i quali l’Italia, si svolse dal dicembre 1992 al marzo 1994. Per il nostro Paese si interruppe nel settembre 1993, qualche settimana dopo la tragica giornata del 2 luglio, con l’agguato al contingente italiano a Mogadiscio intorno al Check-point Pasta, scatenato da miliziani somali che si nascondevano dietro donne e bambini, per ostacolare i nostri, costretti a ridurre l’intensità del fuoco per evitare perdite tra la popolazione civile.
Restore Hope ci costò 14 caduti, tre in quello scontro, il bilancio più pesante dal 1945 per le forze armate allora ancora su base di leva. Un conto salato per la prima di “una famiglia di missioni di pace che di pace hanno il nome ma non il significato”, sostiene Adami prima di ribadire che la missione in Somalia “è finita troppo presto, quando non doveva ancora finire”. Forse, continuando, si sarebbe potuto fare qualcosa per quell’angolo martoriato del mondo, ma ONU, USA e Italia decisero di “togliere il disturbo”, davanti ad una situazione controllabile solo con una forza esagerata. Scelta sbagliata, i risultati si vedono tuttora, nell’instabilità dell’area a distanza di quasi trent’anni.
Gianni Adami, un veronese classe 1952, è stato ufficiale di complemento dei bersaglieri, entrando in servizio permanente effettivo nel 1979. Due anni dopo ha frequentato il corso piloti osservatori dell’Aviazione Leggera dell’Esercito, classificandosi al primo posto. Nel 1991-92, ha completato il corso per pilota di elicotteri d’assalto A-129 Mangusta. Già nel 1988 aveva avviato un intenso ciclo di missioni operative all’estero, che fino al 2005 l’hanno portato dal Libano ai Balcani, passando per tutte e tre le missioni italiane in Somalia.
Quella alla quale ha dedicato questo libro - che vuole informare e “aprire la mente” ai lettori interessati - è uno spartiacque tra le forze armate italiane di ieri e di oggi, spiega Paolo Valpolini, giornalista e inviato di guerra, esperto di cose militari, presente a Mogadiscio durante la difficile operazione.
Il sacrificio di 14 ragazzi accelerò il processo di trasformazione della nostra organizzazione militare in un organismo di professionisti, arruolati su base volontaria e specializzata, col conseguente superamento dell’obbligo di leva.
L’esperienza umana e tecnica nel Corno d’Africa consentì di perfezionare la logistica di tutte le missioni successive, comprese quelle ostiche in Afghanistan e Iraq. I miglioramenti hanno fatto compiere un deciso passo avanti sotto tutti gli aspetti: i mezzi sono stati migliorati, certe debolezze risolte e alcune risorse valorizzate, dai gipponi ruotati e blindati alla componente elicotteristica. I velivoli dell’Aves impiegati dettero vita a Hitalhely, il primo contingente aereo d’appoggio ad una missione all’estero. Erano elicotteri da trasporto grandi e piccoli e agili elicotteri armati. Ad esempio, il Mangusta EI 915 pilotato da Adami nel 1993 in Somalia sarà operativo ancora nel 2007 in Afghanistan, nel corso dell’operazione Isaf antitalebana.
Queste sue pagine sono scritte con la tecnica, ma anche e soprattutto col cuore. Ci sono i fatti, i successi, i colpi di genio, ma anche gli errori e le approssimazioni. La generosità e lo “stellone” nazionale sono protagonisti ma non prima degli uomini e delle donne in divisa e dei loro sentimenti e sacrifici, col pensiero fisso alle famiglie lontane. Valpolini dice di aver ritrovato nel libro la nostalgia per lo spirito di cameratismo che si era creato tra tutti gli italiani presenti e di riscoprirvi odori e tramonti, i colori la sabbia e ovviamente la gente del posto, da quelli molto amichevoli a quelli che “italiani mafia, italiani fanculo” e giù sassi. Più i primi dei secondi, per la verità.
Un altro episodio significativo raccontato da Adami vede coinvolti la giornalista e l’operatore RAI che in Somalia saranno poi uccisi nel marzo 1994, in circostanze tuttora non chiarite. Dice di aver visto il terrore sul volto di Ilaria Alpi e Mirko Hrovatin, che solo la prontezza dell’autista aveva sottratto al linciaggio, per essere andati sul luogo dove una pesante incursione americana aveva distrutto un caseggiato, uccidendo una cinquantina di civili innocenti. Gli occupanti l’auto davanti non se la cavò con una camicia strappata e qualche graffio, vennero linciati dalla folla inferocita.
L’allora capitano Giovanni Adami ha meritato una medaglia al valore, il 2 luglio famoso, per aver ingaggiato un duello con una mitragliera automontata. I colpi tambureggiavano contro il blindovetro dell’elicottero. La sorgente di fuoco ostile venne neutralizzata. E dire che la chiamavano missione di pace.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le ali dell’ibis
Lascia il tuo commento