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Le bugie di Caporetto. La fine della memoria dannata
- Autore: Paolo Gaspari
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
A vantaggio del nemico, il 24 ottobre 1917, un colpo di fortuna che favorì una profonda avanzata in poche ore. Da parte italiana, la solita corsa autolesionistica a denigrare sé stessi. Quello ch’è certo, è che i soldati, i sottufficiali, gli ufficiali subalterni non si macchiarono della viltà che pure venne loro contestata. Paolo Gaspari la smentisce e la riconduce a singoli episodi fisiologici, in un saggio, Le bugie di Caporetto. La fine della memoria dannata (marzo 2021, 702 pagine), con la prefazione di Giorgio Rochat e tante immagini in bianconero e cartine nel testo, oltre che in frequenti inserti fotografici. Un’opera tanto valida e preziosa d’avere meritato tre edizioni in dieci anni: esordio nel 2011, la seconda aggiornata nel 2017, prima di questa, presa ora in considerazione. Una ricerca colossale, un libro di ben 25 capitoli, che apriva la collana “La Nuova Storia Militare” delle Edizioni udinesi Gaspari.
Sicchè, si può parlare di “miracolo di Caporetto” per le truppe austro-tedesche attaccanti e di “leggenda nera di Caporetto” per i presunti mancati difensori, accusati di essersi ritirati o arresi senza combattere. Una vergogna caduta sulla massa, sugli umili, più che sui capi, veri responsabili invece della disfatta. Si sono saldati da allora due stereotipi: la vittoria degli dei della guerra, la sconfitta degli italiani, non disposti a battersi. Una coppia di luoghi comuni radicati, difficili da scalfire, che hanno fatto di una battaglia perduta sì, ma come tante altre per tanti altri eserciti, la disfatta militare per eccellenza di un popolo che si considera poco marziale e che non rispetta come dovrebbe chi dei suoi è stato ed è in divisa.
Lo storico, scrittore ed editore Paolo Gaspari mette a fuoco l’uno e l’altro dei pregiudizi duri a morire e rilegge compiutamente gli eventi dei primi due giorni dell’offensivo nemica, in un volume extralarge per numero di pagine, che le edizioni udinesi presentano come il libro definitivo su Caporetto. Smaschera la die teutonische luge, la menzogna tedesca dell’avanzata perfettamente pianificata, e condanna la menzogna italiana, della
mancata resistenza di reparti della IIa Armata vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico
secondo la prima versione sciagurata del Bollettino dell’Alto Comando di Cadorna.
I vincitori si guardarono bene dall’ammettere il concorso della fortuna. Vollero raccontarlo come l’ennesimo colpo dell’Oberkommando e l’avanzata su Caporetto venne celebrata come il successo del genio strategico sacrale dei generali Below e Krafft. Quanto alla storiografia italiana su Caporetto, è andata avanti per anni sulle versioni di Cadorna e Capello, i condottieri sconfitti, che mai si sarebbero addossati le colpe. Tanto spazio tricolore anche alla pubblicistica di giornalisti e storici, abbondante ma non sostenuta da ricerche accurate. Campo libero, perciò, alla versione dei vincitori teutonici, esaltati come concreti, acuti, passati di successo in successo. Accolta la loro verità, coerente del resto con altri due preconcetti: la valenza guerriera germanica e la scarsa considerazione che gli italiani hanno di sé, come soldati.
Gaspari sottolinea con la matita rossa e blu gli errori da non commettere mai nella storiografia: credere alla versione dei vincitori e basarsi sui pregiudizi. Quando Rommel scrisse che gli italiani gli venivano incontro a battaglioni interi con le mani alzate, nessuno si peritò di negarlo, per cui anche nella coscienza storica del Paese si è fatta strada senza contraddittorio la convinzione che a Caporetto i connazionali non abbiano combattuto. Quando i comandanti tedeschi affermarono di avere sconfitto forze italiane molto più numerose, vennero creduti. Se attribuivano i successi all’abilità di manovra e al furore degli attaccanti, il fatto veniva dato per certo.
Sulla base di una fonte del tutto trascurata - i 16 mila memoriali al rientro dalla prigionia degli ufficiali catturati il 24 e 25 ottobre, e quindi “scomparsi” dal campo di battaglia - l’autore attesta invece che il crollo delle difese italiane avvenne per l’avanzata al centro della divisione slesiana tedesca per ben 27 km, non prevista dai piani di attacco e favorita da circostanze fortuite, non ultime la nebbia e il cattivo posizionamento delle difese. Fu il più imponente sfondamento in un solo giorno di tutta la guerra: due reggimenti, arrivati ai piedi dello Stol e più a sud sulle pendici del Matajur, fecero cadere per manovra tutte le linee italiane all’ala sinistra della II armata e misero in crisi tre corpi d’amata. Davanti a loro non esistevano altre linee organizzate, né cannoni e reparti italiani che potessero impensierirli (e pensare che il piano di Below voleva gli slesiani coinvolti nella presa del Monte Mia).
Gli altri sfondamenti sul fronte del Kolovrat, sullo Jeza e in parte nel fondovalle di Plezzo, erano progressioni nell’ordine dei 2-4 km.
Per Paolo Gaspari, la domanda da porsi oggi è: come si comportarono gli italiani nell’ultima guerra che ha completato l’indipendenza della nazione, oltre a legittimare il suffragio universale finalmente ottenuto e a determinare l’ingresso delle masse popolari nello Stato? Le fonti per quest’impresa storiografica ci sono: documenti che smantellano certezze acquisite, le 16 mila relazioni degli ufficiali, il più grande corpus memorialistico della storia italiana, forse europea, la documentazione storica più ricca di sempre. Vanno aggiunti i milioni di pagine di atti degli archivi militari e gli stati di servizio dei 198 mila ufficiali della Grande Guerra, più i Fogli matricolari dei 4 milioni e 872 mila italiani arruolati. Consentiranno alla storiografia sul 1915-18 di fare un salto di qualità in una direzione fondativa, “di patriottismo democratico”.
Altro che “vinti di Caporetto”, ma purtroppo l’azione generosa di ufficiali subalterni e interi reparti non è mai entrata nella memoria storica della gente. Chi ha combattuto in quei giorni infausti non solo non si è visto riconoscere l’abnegazione, ma addirittura è stato tacciato di un giudizio negativo e inglorioso.
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