Le canzoni nei film di Nanni Moretti
- Autore: Claudio Chianura
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2012
Ho fatto la tesi di laurea sui film di Nanni Moretti, non dico per vantarmi ma per certificare un minimo di “familiarità” col suo cinema morale e dunque (legittimamente) idiosincratico. Mi guardavo e riguardavo tutti i suoi film e sapevo (giuro!) che, prima o poi, a qualcuno sarebbe venuto in mente di approfondirne il rapporto con le canzoni. A meno di essere sordi & ciechi è impossibile non accorgersene: la pop-music è il vero elemento rafforzativo – qualcosa di lirico e di straniante al contempo - dello specifico morettiano.
Quando in “Bianca” Michele Apicella dichiara (a uno sconosciuto) “Chiami la polizia perché ora mi sparo”, un jukebox sta diffondendo le note di “Insieme a te non ci sto più” della Caselli. E quando Don Giulio ne “La messa è finita” prende coscienza dell’inutilità della sua missione, Franco Battiato irrompe nella colonna sonora con “I treni di Tozeur”. E ancora Battiato, in “Palombella rossa”, viene intonato (“E ti vengo a cercare”) dal pubblico di una partita di pallanuoto-metafora della vita.
Niente nei film di Moretti si “trova lì” per caso, comprese le canzoni: ammesso e non concesso siano significanti di per sé, corroborano la scena di valore aggiunto, la “evidenziano” con esiti spesso più evocativi della soundtrack originale.
Da circa un anno c’è in libreria un saggio che inquadra la filmografia del regista proprio attraverso la lente del commento sonoro: si intitola “Le canzoni nel cinema di Nanni Moretti” e a scriverlo, per Auditorium Edizioni, è Claudio Chianura, attivo tanto nel mondo dell’editoria quanto in quello musicale. Malgrado sappia bene di cosa va scrivendo, Chianura sceglie il “basso profilo”: non fa la voce grossa, non interpreta, non filosofeggia, evitando dunque di smarrirsi in chissà quali anfratti arbitrari. Ciò che riesce a Chianura, con efficacia quasi wittgensteiniana, è di re-inquadrare l’intero corpus cinematografico morettiano (da “Io sono un autarchico” fino all’ultimo “Habemus papam”) senza scadere nel morettismo, semplicemente spostando il grandangolo di osservazione: le canzoni (spesso anche le canzonette) piuttosto che l’abusata lettura psicoanalitica dei tic, dei dolci, del dover essere, della misantropia, del messaggio politico. Ne viene fuori un libro felicemente borderline - un po’ saggio cinematografico, un po’ musicale - focalizzazione puntuale dell’aspetto meno conosciuto (sebbene portante) di un regista tra i più significativi della scena mondiale. Spiega Chianura con inconfutabile nitore:
“Il fatto è che i film di Nanni Moretti non cercano la perfezione, non puntano al sublime, volano bassi, si sporcano le mani con temi che riguardano non la storia ma l’attualità, e Battiato funziona meglio di Stockhausen, Jovanotti meglio di Nono, Einaudi meglio di Satie. E’ la storia ridotta in trentaduesimo di cui parla il professore della scuola “Marilyn Monroe” in “Bianca”, è la storia di Gino Paoli, il cielo ridotto in una stanza, quella di un bordello, un’armonica che sembra un organo (…) ed anche il mare dello “scalo a Grado”, l’amore impacciato e imbarazzante, l’improbabile meta turistica di fine Novecento, l’intellettualismo tardo-Dada di Battiato”.
E ancora più avanti:
“Quelle canzoni che sono importanti e allo stesso tempo ci fanno un po’ ridere, mostrano tutta la loro piccolezza. Ci rendiamo conto, in fondo, di vivere una piccola farsa, una piccola farsa italiana dove tutto può finire in burla, come mostra a volte la grande letteratura”.
E il cinema incomparabile di Nanni Moretti con lei, mi verrebbe da aggiungere.
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