Le due battaglie dell’Atlantico
- Autore: Antonio Martelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2015
La guerra sottomarina italiana in Atlantico: grandi capacità nautiche poca fortuna
Sommergibili italiani in Atlantico, nel 1940-43, più bravi a navigare che ad affondare, ma non per colpa degli ottimi comandanti e dei bravi equipaggi. Semplicemente, in quel teatro operativo, la nostra Marina mediterranea non c’entrava affatto. La Kriegsmarine non temeva rivali nella guerra sottomarina, in entrambi i conflitti mondiali del ‘900, quanto a capacità tattica, qualità costruttive e adattabilità dei battelli. Nessuna flottiglia subacquea riuscì ad avere un peso sulle due guerre come quella del Kaiser prima e del Terzo Reich venti anni dopo. Lo si legge chiaramente nel saggio significativo di Antonio Martelli per il Mulino, “Le due battaglie dell’Atlantico” (378 pagine, 25 euro). E in questo libro, un aspetto di stretto interesse è la presenza nell’Oceano di sommergibili della Regia Marina. La sintesi dell’attività italiana occupa un numero irrisorio di pagine, ma è il caso di approfondirle, lasciando gli scenari più ampi della guerra subacquea 1914-18 e 1939-45 ai lettori che leggeranno il saggio del docente bocconiano esperto di storia navale.
Sebbene numericamente imponente – nel ’40 contendeva alla sovietica il primato numerico mondiale – la componente subacquea italiana non aveva seguito i progressi tecnologici. Se nel 14-18 l’offesa sottomarina era nettamente in vantaggio sulla difesa, il rapporto si era nettamente ribaltato, con lo sviluppo degli apparati antisom e soprattutto dell’arma area. L’Italia era rimasta indietro nella sperimentazione, tanto del ricambio d’aria in immersione, che delle apparecchiature ottiche, di ecogoniometri, propulsione dei siluri e sistemi di comunicazione. I nostri battelli oceanici erano enormi, perché volendoli quasi sempre sommersi, si cercava di renderli confortevoli. Gran parte delle unità dislocavano quanto e più di un cacciatorpediniere di superficie e questo comportava tempi di immersione rischiosamente lunghi. Per la “rapida”, a un sommergibile italiano (1100-1300 tonnellate) occorrevano da uno a due minuti e le torrette troppo grandi erano visibili da lontano. Ad un U-Boot Tipo VII (750 tonn) bastavano solo 30”.
Del resto le cifre parlano chiaro – fa notare l’autore - su 145 battelli impiegati, ben 88 andarono perduti. Di questi, 16 erano tra i 32 atlantici di Betasom. Sui risultati, i dati divergono da quelli indicata dalla Marina Militare. Per l’Ufficio Storico, in Atlantico l’impegno fu interamente rivolto alla ricerca e all’attacco con risultati che compensarono largamente i sacrifici delle estenuanti missioni e le perdite. Durante 24 mesi furono affondati 108 mercantili e una piccola unità ausiliaria, per 593.864 tonn. di stazza lorda e danneggiati 4 mercantili (32.205 tonn). Per Martelli, i successi nei primi 19 mesi di guerra furono modesti: vennero affondate 51 navi per 229 mila tonn.
Ciò non toglie che anche a suo parere i sommergibilisti italiani si batterono con coraggio e valore ottenendo, specie in Atlantico, discreti risultati pur se inferiori a quanto si sperava. Ma ci fu un settore nel quale i nostri surclassarono i tedeschi. Per raggiungere la base atlantica a Bordeaux (Betasom), si doveva passare dallo stretto di Gibilterra. Il problema era stato ampiamente affrontato, con studi oceanografici accurati sull’intensità, quota e direzione delle forti correnti. Questa preparazione unita all’efficace addestramento nautico dei comandanti diede buoni risultati: nessun battello andò perduto nei 44 attraversamenti nei due sensi. I germanici persero al contrario la metà dei Tipo VII che tentarono di forzare lo stretto.
I primi sommergibili italiani entrarono in Atlantico a luglio, mentre Betasom veniva allestita sulla riva sinistra della Garonna: due grandi darsene comunicanti col fiume grazie a una serie di chiuse. Officine attrezzate erano servite da tecnici italiani e francesi. Poteva ospitare anche 30 sommergibili. Il primo a raggiungerla fu il Malaspina, il 4 settembre.
Nel visitarlo, l’amm. Doenitz rimase colpito dalla grande falsa torre: si domandò come si potesse andare per mare con un castello e chiese se non si potesse abbattere.
Era come combattere a bordo di un bersaglio: tra mediterranei e oceanici, andò perduto il 74% dei nostri sommergibili. Quasi tutti con l’equipaggio al completo.
Le due battaglie dell'Atlantico. La guerra subacquea, 1914-18 e 1939-45
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