Le nove porte. I segreti del chassidismo
- Autore: Jirì Mordechai Langer
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2008
Le nove porte. I segreti del chassidismo di Jirì Mordechai Langer (Adelphi, 2008, traduzione di Ela Ripellino, moglie del grande slavista Angelo Maria Ripellimo) è una raccolta di novelle in cui risplende la mistica medievale dei chassidim.
Tale parola deriva da "Chesed", la quarta delle "sephirot" (emanazioni divine) dell’albero cabbalistico della vita. "Chesed" significa amore e gentilezza, contiene la gioia di vivere che non viene meno anche nei momenti di estremo dolore, privazione, miseria. Questo arcano dualismo è ben sottolineato da Sergio Quinzio che parla di oscurità e luce presenti contemporaneamente in questo filone esoterico dell’ebraismo.
Il libro, insieme ai racconti di Martin Buber, è prezioso come testimonianza di un mondo tragicamente scomparso dopo l’Olocausto.
Qui troviamo l’ironia tipicamente ebraica e il sorriso, come per esempio nella dichiarazione che è bene offrire la decima dei propri introiti a Dio, ma non di più, perché il di più sarebbe dilapidazione.
Il giovane Langer, poeta e intellettuale, sente prepotentemente il richiamo delle sue radici e parte per ritrovarle in un mondo misero e a volte ripugnante di paesi non industralizzati, sporchi, in apparenza, ma è un mondo pregno di immanenza divina.
Nel 1913 egli si sposta da Praga a Belz, un paesino nell’attuale Ucraina, ai confini della Polonia. Sa che sta volutamente girando le spalle per sempre al mondo borghese a cui appartiene, senza più anima (tale sentimento lo affratella a Kafka), per diventare un appassionato dell’unione tra l’uomo e il suo Creatore, uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio androgino, ovvero composto di due facce, maschio e femmina.
Impara dal "rebbe" (rabbino) locale che la sapienza non si trova nei beni mondani, nel potere, nei libri ma nel cuore, non nella cosiddetta cultura ma praticando costantemente i riti, intesi come riproduzione del cosmo. Il modo di vivere di questa gente semplice è davvero semplice e gioioso, costituito da regole rigide comprendenti la foggia del vestito, il farsi crescere una lunghissima barba (simbolo di saggezza), come e cosa mangiare per non versare sangue e non nuocere ad alcuno, secondo un’ortodossia molto ferrea. Ciò trova la sua giustificazione nel nostro essere necessitati e dobbiamo seguire uno stile di vita necessario; anche il libero arbitrio non è tale, sottolinea Langer, in quanto ci viene dato.
La contraddizione, l’unione degli opposti, la tendenza misericordiosa del perdono, a non giudicare sono il filo conduttore affascinante dei racconti.
I chassidim credono nella reincarnazione in modo strabiliante e totale; secondo le loro visioni e leggende l’uomo può incarnarsi non soltanto in un altro essere umano ma anche in animali, piante, nell’acqua e persino nelle pietre.
Ma che cos’è l’uomo? Scrive l’autore:
L’uomo non ha un “io”. È un nulla, un nulla assoluto, perché secondo la spiegazione del libro cabbalistico Tiqqunìm, la parola ebraica ayin, cioè “niente”, e la parola anyi, “io”, sono composte dalle stesse lettere diversamente raggruppate.
Ecco un esempio di permutazione cabbalistica delle lettere dell’alfabeto, tecnica essenziale di penetrazione e comprensione dei testi sacri, della Torah, la Legge. Io e nulla coincidono, riconducendo la mistica chassidica al pensiero buddhista del "sunyata’ (vuoto) e alla teologia negativa di Meister Eckart. Dio e uomo sono ineffabili, da qui sgorgano umiltà e grandezza dell’essere.
Le sephirot sono dieci, ma la più alta, l’apice, Kether, è il Tutto; per arrivarci occorre salire, aprire nove porte. Quella posta più in basso, l’ultima ma non come importanza, è Malkut, il regno della materia, la nostra realtà quotidiana, parte del disegno dell’En sof, l’infinito intelligente. Si tratta di panenteismo, (uno in tutto), compreso molto bene attraverso storielle e parabole dai “Giusti”, contadini e artigiani, gente vicina alla natura, che segue fedelmente il cammino indicato dal santo rebbe. Quest’ultimo, a mio parere, assomiglia a uno sciamano.
Langer ritorna a Praga mutato. Diviene amico di Kafka, che da lui prende lezioni di ebraico. Insieme i due passeggiano per lunghe ore nelle notti e riversano i loro segreti l’uno nell’altro. Che cosa si dissero? Non lo sappiamo, non esistono testimonianze, ma Langer ha scritto di "aver abitato nell’ombra di kafka" e ha lasciato una splendida poesia dedicata all’amico, contenuta nel volume di poesie "Canti liturgici e poesie di amicizia", che termina con i seguenti versi:
L’amicizia di due compagni / che si abbracciano con gioia / e in quell’ebbrezza furono / elevati silenziosamente / nei mondi superiori, / nei reami della risposta /
dove la luce e l’amore sono per semp
re.
Il mistico muore a Tel Aviv nel 1943, a 49 anni, in seguito ad una polmonite che lo segna ineluttabilmente, contratta durante il viaggio compiuto nel ’39 per raggiungere la Palestina, via Costantinopoli. Era un inverno gelido, con meno 30 gradi sotto zero, la nave in cui l’artista si trovava era stata bloccata dai nazisti. Langer è poco vestito, giacché da visionario e con poco senso pratico ha portato con sé un bagaglio mastodontico di 200 libri, ma solo un minimo di vestiario invernale.
A Tel Aviv ritrova l’amico Max Brod e sua moglie. Oltre che a interessarsi alla diffusione delle sue opere, essi lo assistono fino alla fine con amorevole, chassidica (e cristiana) dedizione.
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