Le porte della notte
- Autore: Amir Valle
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2013
“Cuba è un’isola piena di corridoi.” (Pag. 48)
A Cuba la vita è piena, vissuta con esagerazione, con tanta passione umana e corporale, una popolazione emotiva viscerale ansiosa ma unica e semplice:
“Tu sai che siamo un popolo di esagerati e di pettegoli.” (Pag. 67)
Ma Cuba supera questa descrizione fino a essere un simbolo, un emblema, un’incarnazione del bene, per alcuni, del male per altri. Non è un caso. Gli aspetti umani ma anche quelli fisici e naturali sono amplificati all’inverosimile. Le pulsioni, da quelle politiche e rivoluzionarie a quelle carnali, come il ballo e il divertimento, hanno reso speciale un mondo favoloso di appena undici milioni di abitanti.
Nei miei viaggi a Cuba, questa eccitazione l’ho percepita in ogni istante e in ogni attività. Parlando con i cubani - si fa amicizia rapida a Cuba - si discute lungamente con una gestione del tempo tutta cubana, l’orologio è solo un ammennicolo non un tiranno. Perciò i confronti effervescenti si prolungano e i cubani dialogano di tutto, ma il dilemma più percepibile è quello politico e rivoluzionario. Se da una parte il movimento guidato da Fidel Castro ha concesso, a tutti, di ottenere benefici impensabili, dall’altra la grande crisi economica rende molto difficile vivere.
È il sentimento del bellissimo film Fragola e cioccolato dei registi cubani Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabio. I due protagonisti della storia si dividono fra sentimento rivoluzionario e quello castrante dell’impossibilità di esprimersi. Entrambi amano il loro paese, entrambi riconoscono i miglioramenti della rivoluzione castrista, ma in essi c’è la comprensione delle difficoltà e delle tante contrarietà. Ognuno dei personaggi rappresenta un diverso aspetto.
Se questa è Cuba, l’Habana è il centro, il luogo in cui la vivacità cubana si moltiplica esponenzialmente.
È l’Habana, il luogo del romanzo Le porte della notte dello scrittore cubano Amir Valle (Edizioni Anordest, Villorba, I edizione, marzo 2013). Il romanzo è del 1998. Dopo la caduta dell’URSS, Cuba perse il più importante partner commerciale. Castro fu costretto a dichiarare il periodo especial, una grande crisi economica, con il razionamento e la scarsità di beni alimentari. Il libro di Valle è ambientato in quello speciale momento storico.
Le porte della notte è interamente devota all’Habana.
Il romanzo è un classico noir sudamericano. Un’ambientazione pesante, un contrasto con la società, un mondo politico opprimente, e soprattutto il solito investigatore difficile, con una vita privata complicata e mille problemi di relazione.
Il tenente della polizia cubana, Alain Bec ha queste caratteristiche, anche se non è completamente perso. Alain Bec non è un eroe - “era triste essere un eroe anonimo” (Pag. 24) - ma un uomo del suo tempo, con una famiglia e tanti problemi.
L’argomento del romanzo è molto impegnativo e indigesto.
Parla di bambini scomparsi, pedofilia, violenza, assassini, prostituzione minorile, schiavismo, perversioni tremende.
La trama ha il suo corso.
In un’intervista Amir Valle dice:
“Todas las novelas de la serie están basadas en casos reales ocurridos en los barrios de Centro Habana, es decir, el corazón de la capital de mi país.”
Siamo di fronte a un realismo forte, non nascosto, perché il linguaggio è preciso e chiaro, non ci sono metafore, tutto al più si concede qualche ironia.
Nella stessa intervista conferma:
“... todas las literaturas nacionales de América Latina, te diría que es en su preocupación por reflejar lo más crudamente posible los graves problemas sociales de nuestras sociedades.”
È la cifra stilistica, realismo nella storia e realismo linguistico. C’è un tono letterario elevato ma, nei suoi personaggi e nel loro linguaggio, si manifesta l’aspra esistenza, soprattutto perché il quotidiano è tremendamente crudele.
Questa cortina afosa lascia senza respiro, e comincia proprio dalla prima pagina.
Il tenente è al funerale di un bambino e sente l’agitazione morale e fisica. Soffoca, non comprende perché il bambino sia morto e si lascia andare a un pensiero, la cifra di tutto il romanzo:
“Una piccola bara bianca con dentro un bambino che sembra addormentato, e magari è nella pace di Dio, fa girare i coglioni a chiunque.” (Pag. 5)
Il libro è scritto in terza persona, ma non limita il pensiero del protagonista e il flusso continuo, pieno di parole, oggetti, pensieri, racconti.
Il romanzo è stipato di personaggi di ogni tipo. Alcuni sono drammatici tetri minacciosi, compiono gesti disumani, ma altri sono leggeri e perfino divertenti, come la ninfomane, la quale resasi conto dell’eccesso di sesso si cura in un ospedale. Il risultato è finire a letto con il dottore.
Il bambino è morto annegato nel Malecón. Il Malecón è il centro sociale, il punto d’incontro degli habaneri. Da Habana Vieja al Vedado, fra la strada e l’oceano, c’è un ampio marciapiede e un muretto. Sul quel muretto, dal pomeriggio fino a notte fonda, gli habaneri si siedono, mangiano, parlano, fanno amicizia, amoreggiano, suonano, ballano.
Nel libro è fondamentale la presenza della capitale cubana. Non sarebbe possibile in altre parte del mondo. Non risparmia i dettagli della povertà, le vie fatiscenti e piene di buche, palazzi cadenti pericolosi, impianti elettrici malfermi, la sporcizia. Ma la città non è uguale ovunque. Un’altra dicotomia. Habana Vieja e Centro Habana sono diversi dai bei quartieri residenziali del Vedado e di Miramar. Gli abitanti non sono uguali, appartengono a due differenti estrazioni sociali. Non ho usato volutamente la parola classe. Il tenente abita nei nuovi quartieri e palesa una sua diversità rispetto a quelli più antichi.
Una delle differenze fra i quartieri è la percentuale di neri, sono in grande numero in Centro Habana e Habana Vieja. E qui nasce uno dei pensieri del tenente Alain, quello sui neri. Chi è stato a Cuba sa bene quello che gli abitanti, di origine spagnola, pensano della popolazione afro cubana. Amir Valle riprende l’argomento, evidenziando le disuguaglianze sociali economiche umane culturali. Il tenente deve lavorare principalmente nel centro città, perciò è ossessionato di vivere in una città di solo neri. Timore accentuato anche dall’incontro con la santeria.
L’autore smorza il tono, perché quando lo affronta, ci mette una bella dose di retorica con tanti ossimori:
“… perché io ho solo due difetti: uno che non sopporto il razzismo, e l’altro, che non sopporta i negri.” (Pag. 47)
“Da quando comparve quel signore, molto gentile ed educato anche se negro …” (Pag. 99)
“… il nero più bianco de l’Avana.” (Pag. 176)
L’ironia è diffusa. Serve a smorzare la difficoltà della realtà. Quasi le due fonti di linguaggio si alternano.
Al cinico pessimismo spietato nei confronti della vita cubana - “Io credo che non ci si abitui mai al fatto che noi uomini siamo la merda più schifosa che Dio abbia creato.” (Pag. 14) risponde con un piacevole aforismo:
“Un perfetto ritratto dell’unica buona invenzione degli spagnoli a Cuba: la mulatta.” (Pag. 74)
Sulla rivoluzione si mantiene equidistante: “… quando quello che si ripartisce è la miseria, questa non si riduce, ma si moltiplica.” (Pag. 106) perché, che sarebbe di Cuba senza Fidel Castro, Che Guevara, Camilo Cienfuegos.
È un libro impegnativo, sia per la trama sia per Cuba, sia per i tanti personaggi inquietanti. Il tutto è tenuto insieme dallo scrittore con bravura, senza smorzare i toni. Nonostante l’arrivo continuo di stupratori, bambini, mafiosi continua a raccontarceli centrandoli nell’ambiente sociale. Ma il grande protagonista è l’isola e l’indiscutibile misterioso e tragico fascino:
“Esta isla es algo muy grande. Aquí han ocurrido las cosas más extrañas y las más trágicas. Y siempre será así. La tierra, como los seres Humanos, tiene su destino. Y el de Cuba es un destino misterioso.” (Miguel Barnet, La canción de Rachel, Editorial letras cubanas, La Habana, 1985)
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