Le stelle dei giganti
- Autore: James P. Hogan
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2006
Nell’ultimo mezzo secolo la scienza ha fatto tali progressi, alcuni dei quali imprevedibili (internet, cellulari) da rendere obsoleti molti romanzi di fantascienza (ma anche gialli, thriller, noir, ecc.). Ciò vale soprattutto per quegli scrittori che, per supportare le loro storie, tentano di fornire spiegazioni tecnologiche.
Solo i grandi maestri del passato, come Campbell jr e Asimov, riescono a creare una sospensione dell’incredulità utilizzando concetti consolidati quali “iperspazio”, teletrasporto”, “sfera di Dyson”, senza però avventurarsi in dettagli (sempre) di difficile spiegazione. Fra l’altro precorrendo i tempi, quando si pensi che l’iperspazio sembra teoricamente possibile via wormhole e il teletrasporto mediante l’entanglement.
Inoltre queste leggende - come peraltro Clarke, Ballard, Brown, Orwell – con plot possenti, originali, sociologici, non hanno bisogno di ammantare di “credibilità” le loro storie. Ciò non vale per la trilogia Le stelle dei giganti di James P. Hogan (Mondadori, 2006, traduzione di Beata Della Frattina).
Il primo romanzo parte dalla brillante idea dell’inspiegabile ritrovamento dello scheletro di un astronauta risalente a 50.000 anni fa. Negli anni in cui il Nostro scrive, la teoria della panspermia aveva colpito l’immaginario collettivo e l’autore ne fa tesoro. Inoltre entrano in gioco anche il darwinismo e il cosiddetto “disegno intelligente” tanto caro, quanto sbagliato, agli americani (anche se Hogan è di origini inglesi).
Purtroppo la prosa è lenta, il ritmo rallentato dalle farraginose, quanto inutili, teorie scientifiche e invenzioni futuristiche mal spiegate, il lessico scontato.
Il romanzo non cattura, nello sforzo continuo di capire gli improvvisi turning point operati con poca arte narrativa, un po’ di confusione e frequenti deroghe all’aurea regola di “mostrare” e non “descrivere”. 600 pagine piuttosto noiose.
Un pallido quanto goffo tentativo di imitare ben altre saghe (una per tutte “Il ciclo della Fondazione”).
Il bello (o meglio, brutto) è che la trilogia è poi diventata una pentalogia con le due opere “Entroverse” e “Mission to Minerva”.
Pur se Hogan ha ottenuto un discreto successo con i suoi trenta romanzi, quest’opera non è delle meglio riuscite dell’autore.
Meraviglia un po’ che una collana importante come URANIA (Jumbo) l’abbia proposta ai lettori, prima in “Millemondi” e poi con il singolo volume “Entroverse”. “Mission su Minerva” ancora non è stato tradotto e, anche se non sappiamo come la storia vada a finire, non credo importi molto. Speriamo che URANIA ce la risparmi.
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