Luci sparse
- Autore: Non disponibile
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
Credo che la poesia abbinata alla luce sia una metafora condivisibile. La luce illumina la via da percorrere, ma pure gli abissi sotto il terreno. Luce che viene dal cielo, penetra profondamente e dona quanto siamo capaci di accogliere. Sembra scaturire dal vissuto, e in parte ciò è vero, quanto viviamo rappresenta "le occasioni", direbbe Montale, che fanno germogliare la poesia. Dico sembra, perché se fosse del tutto vero non troveremmo in essa voli di natura metafisica, o echi del sacro, rivisitazioni del mito, aperture verso mondi invisibili, come sono per esempio i Sonetti a Orfeo di Rilke o le sue Elegie di Duino, che dialogano con i morti e penetrano nel "mondo delle Lamentazioni".
Dunque la poesia viene da lontano, e anche il lontano è metafora. Teniamola, catturiamola senza indagare oltre con la ragione e iniziamo a gustarla, ricavandone piacere e sapienza. Per inciso, il verbo latino "sàpere", gustare, rimanda appunto al sapere, è un sapere sapido, legato ai sensi portati in alto. Essi sono il terminale di un viaggio cominciato, e anche concluso, tra le stelle. Bella e pertinente la citazione di Edmond de Goncourt che riprendo dalla quarta di copertina di un libro di cui a breve dirò:
"Un poeta è un uomo che mette una scala su una stella e vi sale mentre suona un violino".
Il libro a cui mi riferisco è una silloge poetica e dà voce a sedici autori: Luci sparse (Pagine edizioni, 2020, pp. 130), con una bella e ispirata prefazione del poeta Plinio Perilli, il quale trascrive un suo ossimoro di oltre vent’anni fa:
"L’ombra del poeta assola il cuore..."
Restare in ombra, affinché la luce intima assoli. Ciascuno dei sedici artisti riesce a esprimere la misteriosa sostanza fotonica, sia che parli in prima persona, sia che il dettato poetico assumi la veste impersonale. Rendere la luce protagonista non significa cancellare il dolore, ma, al contrario, lo palesa e nel contempo lo trasmuta.
Irene Biondini piange le sue lacrime notturne, ma sa che "un nuovo giorno è sorto per me", nonostante il coronavirus.
Stefania Capuricci predilige la rima, spesso baciata. Ha una forma espressiva esuberante, impulsiva:
"Un lampo luminoso irrompe nel cielo, / come per poter vedere."
Esprime sincronicità tra esterno e interiorità:
"Una voce interiore emerge prepotente, [...] come un’improvvisa folata di vento."
Carla Feudi si concentra nel rapporto umano, mostrando la fatica e l’urgenza della comunicazione:
"Se soffri / se muori / se pensi di impazzire, / fa’ presto a dire / fa’ presto".
Raffaele Flaminio compone un tracciato che va da "respiri e sospiri" per raggiungere "gli altri" passando dalla segregazione imposta durante il "Covid". Emerge un’umanità calda e partecipe, c’è sempre posto per l’amore anche senile, gli incontri:
"Sempre clandestini. / Temono la luce del sole."
Eppure "nel cuore degli / anziani amanti / Spunta il sole più bello che c’è".
Alberto Luchitta coltiva la grazia del poeta e la natura pensosa del filosofo; annoda i destini delle generazioni, percependo l’anima del tutto nella natura, e i suoi lasciti invisibili:
"Con me porto le braci del vecchio focolare / Per sentir calore di passioni antiche..."
E ancora: "All’acqua viene anche un cane morto, / E l’abbeveratoio lui riprende storto"... Sono immagini in cui calarsi e ritrovarsi con sentimento panico.
Rossella Macchiarola rivela uno spirito stoico:
"Ad ogni dolore vinto / vi è un sorriso guadagnato / come lo splendore sconfigge / le sue tenebre."
Gerardo Giuseppe Marchitelli è innamorato dei miti e della classicità, dialoga con la luna, con Venere, Euridice e Orfeo, che raccontano l’amore oltre la morte:
"Una cetra, due note, una voce lontana, / Euridice, Amore, è freddo l’Ade?"
Canta anche il dolore di Maria ai piedi della croce, passione eterna e resurrezione.
Lidia Marsili dipinge senza veli l’amore di corpo anima e spirito uniti con turgore. L’uomo è simile a un grappolo d’uva; l’indumento tolto "lasciando intravedere le tue parti segrete, / sollevava in me il desiderio di morderti e di nutrirmi di te".
Alessandro Musner è dominato dalla nostalgia, la memoria è più forte del tempo, conserva i suoi personaggi: Anna amata per sempre, un prete morto giovane, un ragazzo stroncato dalla droga a 17 anni, tutti figli della vita, vivificata dal vento dell’Est, raccontata in versi lunghissimi e musicali:
"Cantami vento quel lungo lamento che sempre ti porti e che ora io sento."
Roberto Novello, poeta e musicista, scrive "cercando di leggere la musica dell’universo", "cullato dalle stelle dell’infinito", con abbraccio cosmico anche verso aspetti del vivere rifiutati, "la puttana di un prete" per esempio, riprendendo la lezione di de André.
Annamaria Porrino sa credere e sperare:
"Mi immagino tra rugiade fresche di un mattino nuovo / che soltanto io vedo."
Romantico Antonio Rolleri: "Il tuo cuore è un’isola dove voglio approdare", con un’idealizzazione della donna che sarebbe piaciuta agli stilnovisti: "Tu sei la ninfea del lago della luna". Lei è anche un fiume:
"So che potrò cospargere le tue rive con la mia sabbia."
Giovanni Samuelli attraversa il tempo del coronavirus sconfiggendolo con l’eterno Eros:
"Ho respirato il tuo respiro, / stretto in un abbraccio, / fuori dal tempo."
Il contraltare di tanta pienezza è la fame nel Sael, è anche il dolore di "pecore sacrificali" scosse da un tremito inconsulto. Eppure sì tutto può ricominciare:
"Come pastelli a cera, / le pozzanghere si colorano di rosa".
Siria ha compreso che il segreto della felicità possibile sta nel fluire, e scrive con eleganza:
"Nido d’ape in me annidato sciogliti in miele... / Sii dolce balsamo per le mie crepe, / Sii fluido fatato per l’ipocondria del tempo."
Americo Tiberi possiede uno sguardo epico, registra i fermenti sociali. Tra l’altro, affronta la disperazione di chi si buca:
"Torna alla vita / Perché tanta chiusura / La chiusura ti usura/ Esci da quelle mura/ Uccidi la paura".
Renato Zero dice che un drogato è soltanto "un malato di nostalgia": i loro significati collimano, infatti la chiusura significa voler tornare al grembo materno (di una madre disattenta dunque non avuta abbastanza?) come ben sa chi conosce e ha praticato la psicanalisi.
Carmela Vespertino gioca con la parola "corona"; il virus Sars-Cov-2 possiede un involucro con spunzoni detti "spike", che in inglese significa appunto corona. L’altra è la corona simbolica di re e regine fiabesche, icone della dignità da non calpestare: "Nella nostra mente, vive il ricordo del diadema, / che rappresenta dignità regale", perché Cristo "con una corona di spine è stato incoronato e la vita ha portato".
Ho terminato il percorso; noto che in ogni pagina il dolore non ha partita, ogni artista sa vedere la luce in fondo a qualsiasi tunnel. Il libro è ricco di luci sparse, suggestioni, pensieri, offre soluzioni a patemi e infelicità. Aleggia la voglia di rinascita. Il lettore sensibile tra questi versi potrà scoprire quello affine a se stesso.
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