Malgrado. La verità sul generale Luigi Capello
- Autore: Maria Luisa Suprani Querzoli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Malgrado. La verità sul generale Luigi Capello è nuova edizione ampliata di una biografia del generale Luigi Capello, comandante della II Armata del Regio Esercito nel 1917, ma non è un saggio di storia militare, pur attenendosi ai fatti. cerca, interpreta e valorizza le scelte e la condotta del combattente e del comandante, derivate dal suo carattere e personalità, indagate dall’autrice in un ampio volume, pubblicato qualche mese fa da Mazzanti Libri (ottobre 2024, 604 pagine) e firmato da Maria Luisa Suprani Querzoli, con la prefazione del generale Antonino Zarcone.
La saggista vanta un master in Storia militare contemporanea 1796-1960, collabora con il Centro di ricerca dell’Istituto nazionale del Nastro Azzurro (combattenti e decorati al valor militare) e scrive sulla rivista “Quaderni”.
Il generale di brigata Zarcone, già capo dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, ha curato con il professor Aldo Mola la riedizione della relazione della Commissione d’inchiesta sulla rotta di Caporetto, in occasione del recente centenario del primo conflitto mondiale.
Luigi Attilio Capello (Intra, 1859 - Roma, 1941) è stato, se non il migliore, uno dei generali più brillanti del nostro esercito nella Grande Guerra 1915-18. Un numero ristretto, quello degli alti ufficiali validi (nel quale entrerebbe anche il generalissimo Cadorna, ma il discorso sarebbe lungo), visto lo stampo ottocentesco dei nostri comandanti, fermi ai loro superati concetti sul campo, poco disposti a imparare, insensibili alle esigenze dei soldati, incapaci di studiare i limiti della guerra di posizione e trincea già delineata da mesi sul fronte delle Fiandre e su quello francese. Soprattutto, per niente portati all’innovazione.
Capello era tutto il contrario: un uomo nuovo, aspetto che l’autrice evidenzia diffusamente e sul quale converge il general Zarcone. Non era soltanto capace di concepire novità, le applicava e le rendeva manovre, tattiche, strategie, conquistando Gorizia nell’agosto 1916 e avanzando per oltre 10 km sull’Altopiano della Bainsizza, nell’XI battaglia dell’Isonzo, a fine estate 1917. Fu quella scossa alle linee austro-ungariche a convincere l’imperial-regio Esercito a chiedere l’inedita collaborazione d’armi ai tedeschi, che porterà all’offensiva del 24 ottobre 1917 e allo sfondamento a Caporetto, tra i reparti proprio della II Armata italiana. Capello al momento era in congedo, febbricitante per una nefrite, sostituito dal generale Montuori, ma volle riprendere il comando per fronteggiare la situazione. Le responsabilità ricaddero su di lui.
La propensione ad essere originale nel pensiero e nell’azione gli giocarono contro. Né lo aiutarono l’essere un massone e l’aver aderito al fascismo, sia pure solo inizialmente, mentre lo perse del tutto nel 1925 - consegnandolo anche a una lunga reclusione - l’accusa di complicità nel complotto e attentato sventato di Tito Zaniboni contro Mussolini.
Per il duce, Capello era finito. Non solo ricordava la sconfitta di Caporetto - quella parte della guerra dalla quale il fascismo aveva preso le distanze, facendosi erede e interprete dell’arditismo e dell’Italia vincente di Vittorio Veneto - ma era pure affiliato a quella Massoneria che Benito, in ascesa totalitaria, aveva deciso di additare come nemico, in uno col bolscevismo e le demoplutocrazie mondiali.
Oltre al talento militare, la simpatia personale e l’affabilità erano componenti caratteriali che distinguevano il generale verbanese dai colleghi. Puntuale il prefatore nel cogliere l’immagine restituita dell’autrice nelle pagine: un ufficiale della media borghesia, con esperienza bellica in Libia 1911-12; non distante dai soldati, dei quali riconosceva il valore e il sacrificio; tra i pionieri nell’impiego della propaganda e non refrattario alle idee dei sottoposti, come dimostrò aderendo alla creazione dei Reparti d’Assalto. Cercava di privilegiare la manovra quando possibile, più che subire le limitazioni del terreno, ma era sempre determinato nel conseguire gli obiettivi assegnati. Da generale di divisione allo scoppio della guerra, era stato decorato con la medaglia di bronzo e successivamente nominato Grande Ufficiale, per avere organizzato saldamente le unità del VI Corpo d’Armata, in un settore dove la resistenza avversaria era molto forte. Promosso ulteriormente per meriti di guerra, ottenne il comando della II Armata, l’unità più grande del Regio Esercito. Conquistando il Monte Santo e la Bainsizza, convinse l’avversario di non poter reggere un’altra offensiva italiana, tanto da sollecitare l’intervento tedesco.
L’esito nefasto a Caporetto causerà il declino della brillante carriera di Capello. Invece di restare in convalescenza, era tornato al fronte per organizzare la difesa, diventando bersaglio di pesanti accuse. La Commissione d’inchiesta, istituita per accertare le responsabilità, “non le cause”, della sconfitta italiana, gli contestò di avere aggravato nella II Armata i criteri di governo di Cadorna con sistemi personali di coercizione, fino talvolta alla vessazione; di avere contribuito a deprimere lo spirito della truppa, sfruttandone eccessivamente le energie fisiche e morali, spargendo sangue sproporzionato ai risultati; di non avere valutato tempestivamente la minaccia sull’estrema ala sinistra. Quasi tutta persa l’artiglieria lasciata in posizioni avanzate, non assecondando il concetto difensivo del Comando Supremo. Gli si concesse d’avere assai bene concepita la funzione affidata al VII Corpo d’Armata.
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