La poesia riporta in calce la data 10 luglio 1916, ma non si avverte tra le righe nessuna vibrazione d’estate, nessun palpito di luce. Il titolo, Malinconia, ci immerge immediatamente nella sensazione vaga e indefinita che Giuseppe Ungaretti cerca di descrivere; e ci riesce, dando corpo e sostanza alla malinconia attraverso un inatteso trasporto amoroso. È una “malinconia amorosa” quella cantata da Ungaretti, dolceamara da provare, che sembra calare come una nebbia e adombrare il cuore.
Tramite le parole il poeta riesce a catturare un sentimento indefinibile, ciò che per definizione è invisibile agli occhi e appare come una presenza astratta che si dissolve nella nebbia, nel vento, sembra salire dalle cose come una corrente sulfurea ed è quel languido abbandono che anima tutti i corpi e d’inverno appare ancora più tangibile, come un destino.
La malinconia è un sentimento impalpabile che accompagna il periodo natalizio, sconosciuto all’infanzia ma che si fa via via più tangibile con il progredire dell’età adulta. Ogni Natale diventa la somma dei Natali passati, una partita a carte con le mancanze e le assenze, tra sedie vuote e nuovi bambini che animano la sera di festa con la loro speranzosa attesa dei doni. Il Natale è il tema malinconico per eccellenza nella poesia di Ungaretti, ma questa poesia dal titolo Malinconia il poeta la scrisse d’estate. Come tutti i componimenti ungarettiani riporta in calce un luogo e una data precisa: “Quota Centoquarantuno, il 10 luglio 1916” ed è inclusa nella celebre raccolta L’allegria.
La lirica si snoda come una sorta di autoriflessione. Ungaretti la scrisse in una zona di guerra, ma da questa lirica si leva un canto esistenziale in bilico tra disperazione e desiderio che accomuna ogni essere nato su questa terra. Dando forma a questo stato d’animo imperscrutabile, la malinconia, Ungaretti ci parla anche d’amore, della necessità di una “presenza dell’anima”.
“Malinconia” di Giuseppe Ungaretti: testo
Calante malinconia lungo il corpo avvinto
al suo destinoCalante notturno abbandono
di corpi a pien’anima presi
nel silenzio vasto
che gli occhi non guardano
ma un’apprensioneAbbandono dolce di corpi
pesanti d’amaro
labbra rapprese
in tornitura di labbra lontane
voluttà crudele di corpi estinti
in voglie inappagabiliMondo
Attonimento
in una gita folle
di pupille amoroseIn una gita che se ne va in fumo
col sonno
e se incontra la morte
è il dormire più vero.
“Malinconia” di Giuseppe Ungaretti: analisi
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Nella celeberrima Sono una creatura, Ungaretti ci parlava di un “pianto che non si vede” capace di rendere la persona umana simile alla pietra. In questa poesia, dal titolo Malinconia, il poeta torna ad analizzare la propria condizione esistenziale da una prospettiva che si estende dal personale all’universale.
La malinconia ci viene presentata come uno stato d’animo che attraversa il corpo in una maniera discendente: “calante malinconia”, dice Ungaretti, utilizzando un’anafora per dare il senso del movimento. La malinconia è qualcosa che discende, che spinge giù, che in qualche maniera incrina, facendo sentire l’uomo invincibilmente legato al peso del proprio destino mortale.
A questa sensazione viene paragonato, per similitudine, il calare della notte sui corpi degli amanti: anche il loro abbandono è dolce, ma conserva al contempo qualcosa di amaro. L’immagine di questi corpi vicini e poi distanti, le labbra rapprese e poi improvvisamente lontane, diventa un’altra struggente immagine di abbandono che infine si condensa in una visione lacerante che traduce la stessa condizione umana.
voluttà crudele di corpi estinti
in voglie inappagabili
Il sentimento indefinibile della malinconia è dato proprio da questo contatto/contrasto con la morte. Quanto può essere crudele il desiderio di un corpo che si estingue lentamente dinnanzi a voglie che non possono essere soddisfatte?
Ed ecco che Ungaretti sposta la visione dal personale all’universale, servendosi di un’unica parola, isolata sulla pagina bianca ad accrescerne l’intensità del significato: “Mondo”.
Quella singola parola, “mondo”, sembra divenire ancora più immensa e dilatarsi, espandersi, nella pagina che non pare in grado di contenerla. Tanto è il desiderio che non può essere contenuto in una forma, in un corpo: questo vuole dirci Ungaretti richiamando, nella riga successiva, l’attonimento delle “pupille amorose” che sono immerse in una “gita folle”. Viene evocato il senso di smarrimento che talvolta assale l’uomo nel corso della vita: la volontà di conoscere tutto, di sperimentare tutto, l’immensità del desiderio che si scontra inevitabilmente contro un limite perché questa nostra “gita” - ovvero il viaggio della vita - se ne va in fumo ogni notte con il sonno e si perde per sempre nell’oblio della morte, qui racchiusa in una metafora il “sonno eterno”.
“Malinconia” di Giuseppe Ungaretti: commento
In poche immagini strazianti Ungaretti riassume la condizione umana e il perenne struggimento che la contraddistingue. La malinconia cui fa riferimento il poeta è la coscienza del limite; in questo caso la piena comprensione della nostra mortalità. Viviamo in corpi nati per desiderare e, nel breve caos del nostro viaggio per il mondo, ci dibattiamo nella speranza di esaudire ogni anelito. Le nostre “pupille amorose” osservano affamate tutto ciò che ci circonda, prima di chiudersi per sempre. Alle pupille viene accostata una profonda forza percettiva, come se non fossero fatte unicamente per “vedere”, ma anche per sentire, per toccare: in solo senso è conservata la sinestesia di tutti i sensi.
La vita stessa viene dipinta come disordine, agitazione, caos, cui si contrappone l’immobilità perpetua della morte: la malinconia, per Ungaretti, è il risultato di queste forze in opposizione continua che nella lirica vengono rafforzate attraverso l’uso degli ossimori “dolce/amaro”.
La malinconia ritorna in un’altra celebre poesia di Ungaretti, dal titolo Stasera. Si tratta di un componimento breve, in ottonari, di soli tre versi che si conclude proprio con un riferimento alla “mia” malinconia. La malinconia è dunque lo stato d’animo proprio del poeta, ciò che gli appartiene come un’abitudine, come un tratto caratteriale, plasmando a fondo la sua identità. Giuseppe Ungaretti è indissociabile dalla sua malinconia, materia fondante dei suoi componimenti, parola inespressa che si fa largo nei suoi silenzi, negli spazi bianchi delle sue pagine volti a isolare le parole come pietre in silenzi nitidi che improvvisamente diventano accesi.
Malinconia è stata scritta d’estate, ma è una poesia che parla d’inverno, ci fa sentire i brividi sulla pelle come un vento freddo e nell’accostamento finale tra il sonno e la morte sembra cogliere una delle caratteristiche fondanti della stagione invernale; il lungo letargo della terra sotto la coltre del gelo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Malinconia” di Giuseppe Ungaretti: una poesia di dolore e desiderio
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