Mediterraneo divide in due Ossi di seppia, la prima raccolta di poesie di Eugenio Montale edita da Piero Gobetti nel 1925, costituendone una sezione a sé stante. È un lungo poema in cui Montale compone la sua personalissima ode al mare, unendo riflessione, musicalità e allegoria.
Il mare di Eugenio Montale è suono, ripetizione, infanzia e soprattutto malinconia. Nel secondo frammento, che inizia con il verso Antico, sono ubriacato dalla voce ch’esce dalle tue bocche, il poeta ricorda le sue trascorse estati infantili e riflette, seduto a riva, osservando la vastità marina. Le onde del mare si fanno specchio riflesso della molteplicità dell’animo umano, uno spettro di impressioni e sensazioni che variano secondo il moto e la cadenza della luce.
Dinnanzi al mare Montale torna bambino e accorda il battito del proprio cuore al tramestio delle onde, sentendosi parte di un disegno più grande e imperscrutabile. La seconda parte del poema si chiude con un’identificazione tra l’essere umano e il mare che rivela come entrambi siano fatti della vertigine dell’onda e dell’insondabilità oscura degli abissi.
“Mediterraneo” di Eugenio Montale: testo
Antico, sono ubriacato dalla voce ch’esce dalle tue bocche
quando si schiudono come verdi campane
e si ributtano indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t’era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l’aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro, mare,
ma non più degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro.Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento del mio cuore
non era che un momento del tuo;
che mi era in fondo la tua legge rischiosa:
esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
“Mediterraneo” di Eugenio Montale: analisi e commento
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Nella prima strofa Montale si serve del mare per porre in relazione due piani temporali: passato e presente. Il moto delle onde, il loro lento andirivieni, riconduce il poeta alla casa estiva della sua infanzia, sembra traghettarlo in un passato ormai remoto. La consapevolezza dell’adulto si scontra con l’innocenza del bambino; ma entrambi, adulto e bambino, rimangono impietriti dinnanzi alla presenza solenne del mare. Dinnanzi all’infinità marina il Montale adulto si sente indegno, come se varcasse un territorio sacro a lui interdetto perché considerato peccatore.
Da questo momento la poesia sconfina in una dimensione esistenziale, come rivela la seconda strofa:
Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento del mio cuore
non era che un momento del tuo
Il mare descritto da Montale è una presenza che sembra fare le veci della divinità, invitando a una comunione panica tra l’uomo e la natura. La vastità dello specchio marino pone il poeta in relazione con l’idea dell’eterno: così, bambino, aveva compreso di non essere che una piccola parte di qualcosa d’infinito. La legge rischiosa dell’acqua è insita nella natura dell’uomo: essere vasto e diverso. Qui Montale insinua che la complessità dell’elemento acqueo appartiene all’uomo, che proprio come l’acqua non è mai fisso né determinato in un’unica forma.
Il moto delle onde riflette il continuo divenire della vita; ma se nell’infanzia l’Io lirico si sente in armonia con questo movimento naturale, ecco che nell’età adulta se ne discosta, avvertendo d’improvviso un sentimento di alienazione. Il bambino che un tempo si sentiva onda, parte di una totalità più grande di lui, ora è divenuto detrito, alga, maceria dell’abisso.
Nella metafora del mare Montale racchiude in maniera esemplare l’oscuro processo della crescita. Si è ormai infranto il sogno di un mondo armonico, governato da giuste leggi, l’Io deve improvvisamente scontrarsi con una realtà violenta, illogica, spesso ingiusta.
Nel trasparente specchio marino si riflettono due età della vita e due diverse percezioni dell’esistenza: le onde sembrano dare voce a un dissidio lacerante, al moto di una coscienza divisa che respinge la legge divina in nome di quella umana. Il male di vivere è annidato in agguato, è la disillusione che infrange l’innocenza dell’infanzia e rivela l’abisso sotto la superficie azzurra, levigata, delle cose.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Mediterraneo”: l’ode al mare di Eugenio Montale
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