Melpomene racconta
- Autore: Cecilia Maria Esposito
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2017
Nella mitologia greca, Melpomene era la musa della tragedia, figlia di Zeus e di Mnemosine: assumendo il ruolo affabulatore di lei, Cecilia Maria Esposito (Milano, 1992, studentessa di medicina e filosofia) ci narra le vicende tormentate, quando non decisamente tragiche, di undici donne del mito e della letteratura greca. Nelle loro passioni, nella loro sofferenza, negli interrogativi che rivolgono al destino e agli dei, l’autrice riflette le stesse inquietudini delle donne contemporanee, dopo più di duemila anni ancora vittime di società misogine, di amori sbagliati, di pregiudizi collettivi, o dei loro stessi errori.
Utilizzando una prosa elegante, che, nelle scelte lessicali desuete e nel ritmo stesso della narrazione, ricalca lo stile raffinato e composto dei classici, Esposito racconta – sempre in prima persona – l’amore coniugale della vecchia Bauci, quello materno di Ecuba, di Giocasta e di Persefone, quello folle di passione e gelosia di Fedra, Clitemnestra, Eco, Medea, l’affetto sororale di Antigone e Arianna, e l’invasamento profetico di Cassandra.
In “Melpomene racconta” si parla sempre e solo di amore, comunque. Quasi le donne scegliessero con consapevolezza di volersi immolare sull’unico altare della dedizione all’altro: sia esso un dio, il compagno, un parente, la propria città. Ecco quindi le giovanissime Arianna ed Eco, che scelgono la morte quando comprendono di avere sprecato i loro giorni per chi le ha trattate con indifferenza ed egoismo (“Hai risucchiato tutto il resto”; “Passava i giorni a fissare se stesso – io passavo le notti a sognarlo”). Ecco le più anziane, Giocasta, Ecuba e Bauci: le prime due unite dalla stessa disperazione materna, straziata da incubi; la terza vissuta per più di sessant’anni in simbiosi col marito (“c’era dell’ingiustizia, fin dall’inizio, nell’avere due corpi, per due esseri così completamente compenetrati l’uno nell’altro”). E poi le folli di passione: Fedra innamorata del figliastro Ippolito (“Ho conosciuto il tradimento prima di conoscere l’amore, il brivido del peccato prima del candore della colpa”), Medea assassina dei figli per punire l’infedeltà di Giasone, Clitemnestra complice-uxoricida per essere stata troppo umiliata da Agamennone. Infine, le sacrificate a causa della loro stessa fragile femminilità: Persefone scissa tra il mondo degli Inferi e la luminosità delle messi agresti, Cassandra condannata per la sua visionarietà anticipatrice degli eventi, Antigone generosa e ribelle (“Ci vuole ostinazione per distruggersi… La mia vita scorre nel solco dell’inevitabile”).
Un lungo elenco di dolore e ingiustizie, concretizzatosi in suicidi, assassinii, tradimenti, immolazioni e sacrifici, egoismi ed altruismi eroici, generosità e meschinità, ricatti e terrori, gelosia e sottomissione: gli stessi sentimenti esasperati, cupi, irrazionali che animano le tragedie sentimentali e familiari di oggi.
Cecilia Maria Esposito mette sulle labbra delle sue protagoniste affermazioni che ribadiscono spesso il loro senso di inferiorità rispetto al mondo maschile, l’estraneità al vissuto degli uomini, una rassegnazione che talvolta sfiora il masochismo:
“Ti ho amato per il male che mi hai fatto”, “Sono una donna, la mia conoscenza del mondo è informe come un castello di sabbia”, “Gli uomini non sono fatti per donarsi a un amore solo”, “L’uomo ha sempre l’illusione di poter dominare il proprio destino, la donna crede sempre di non esserne la schiava”.
Ci capita ancora di trasalire, increduli, quando sentiamo ripetere le stesse frasi da vittime della violenza altrui o propria, quasi il nascere donna sia rimasta nei millenni una condanna all’inferiorità, alla sudditanza, all’infelicità: e non il miracolo di bellezza e forza che in realtà è.
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