Abbiamo spesso sentito dire, in occasione di una competizione sportiva, o da qualche vecchio nostalgico del regime fascista, l’espressione memento audere semper: ecco cosa significa questo motto, coniato da Gabriele D’Annunzio.
Il motto memento audere semper significa letteralmente ricordati di osare sempre ed è un’espressione, in latino encomiastico, formata da due verbi, il primo – memento (ricorda tu) – declinato alla seconda persona singolare dell’imperativo presente, il secondo – audere (osare) – all’infinito presente e da un avverbio – semper (sempre) – che il poeta vate, fautore del recupero della grandeur dell’Impero romano, coniò, utilizzando la lingua latina, in occasione della celebre Beffa di Buccari.
Per comprendere in modo completo ed esaustivo cosa significa memento audere semper occorre notare, in via preliminare, un altro dettaglio: se consideriamo le iniziali che compongono questo motto otteniamo la sigla mas, vedremo subito perché questo acronimo è così importante.
Per chi non conosce troppo a fondo la storia e preferisce, invece, gli affondi dello sport, segnaliamo anche che il motto memento audere semper è inserito anche in uno dei tatuaggi con cui Aldo Montano ha decorato il suo corpo; cercheremo di comprendere brevemente anche le ragioni di questa scelta.
Memento audere semper: cosa significa e come nasce il motto dannunziano
Come abbiamo già ricordato memento audere semper è uno dei più celebri motti d’annunziani, un grido di guerra che il poeta coniò in occasione della Beffa di Buccari, una memorabile impresa militare alla quale lui stesso prese parte.
In realtà, per quell’impresa diversiva, un motto di guerra c’era già ed era stato coniato dal timoniere del motoscafo anti sommergibile (MAS, come l’acronimo a cui danno luogo le iniziali del motto memento audere semper) che veniva utilizzato nell’azione, era:
“motus animat spes”
Gabriele D’Annunzio ritenne l’espressione troppo poco energica, non abbastanza virile per un’impresa militare, per questo, all’ultimo momento lo cambiò in
“memento audere semper”
e lo fece incidere anche sulla tavoletta dietro la ruota del timone di quello stesso motoscafo, il MAS 96 (96, come il più famoso 69, è, tra l’altro, un ambigramma naturale) che attualmente è conservato nel Vittoriale degli Italiani, una casa-museo nei pressi di Gardone Riviera (Brescia), in cui lo stesso D’Annunzio visse per alcuni anni della sua vita.
Non solo, il poeta, galvanizzato dall’esito dell’impresa, chiese all’illustratore e pittore Adolfo De Carolis un disegno (vedi l’immagine di copertina, sopra), raffigurante un braccio che emerge dai flutti e stringe una corona di quercia, con il quale arricchire quello stesso motto che, poi, fece stampare sulla sua carta da lettera, a mo’ di intestazione, ma anche su altri diversissimi oggetti come i piccoli scrigni d’argento o i foulard di seta rossa e blu che era solito donare agli amici.
La Beffa di Buccari e i MAS
Perché la Beffa di Buccari e l’acronimo MAS sono così importanti per capire cosa significa memento audere semper?
Come ormai è possibile comprendere facilmente il motto latino – non solo quello dannunziano ma anche quello originario, inventato dal timoniere, che poi fu rimpiazzato da quello del poeta – fu coniato per esortare i partecipanti all’azione ad assumersi tutti i rischi che essa implicava con coraggio e sprezzo del pericolo, come, in modo decisamente più velato fa anche un altro celebre motto latino – audentes fortuna iuvat – al quale memento audere semper può essere accostato.
Di fortuna e di incitamento avevano davvero bisogno i soldati italiani che presero parte alla Beffa di Buccari, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, durante la Prima Guerra Mondiale.
Svolta nell’ambito delle operazioni della Regia Marina sul Mare Adriatico la Beffa di Buccari fu un’incursione militare volta a danneggiare il naviglio austro-ungarico di stanza nella baia di Buccari (l’attuale città croata di Bakar).
L’impresa, coordinata da Constanzo Ciano, alla quale presero parte anche Luigi Rizzo e Gabriele D’Annunzio vide impegnati i MAS 94, 95 e 96 della Regia Marina, impegnati contro le difese costiere del porto di Buccari.
Nonostante l’esito inconcludente dal punto di vista militare (le conseguenze sulla flotta austro-ungarica furono limitate, uno dei piroscafi italiani risultò danneggiato), la Beffa di Buccari ebbe il merito di risollevare il morale della Marina e dell’Esercito italiani, come già era avvenuto poche settimane prima, grazie alla vittoriosa incursione di Trieste, nel dicembre 1917, quando i MAS 9 e 13, guidati da Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, avevano affondato la corazzata austro-ungarica Wien.
Un colpo di autostima quanto mai indispensabile per le milizie italiane duramente provate dal rovinoso sfondamento di Caporetto poche settimane prima (24 ottobre 1917).
Chiarite le coordinate storiche, rimane da comprendere perché quel motto o, meglio, quei motti erano stati coniati a partire dalla sigla mas.
Il timoniere dell’imbarcazione, e Gabriele D’Annunzio con lui, non intendevano solo incitare gli animi dei marinai impegnati nell’impresa ma anche celebrare il MAS, acronimo per alcuni di motoscafo anti sommergibile, per altri di motoscafo armato silurante, una nuova imbarcazione da guerra che costituiva la più recente evoluzione di un’altra MAS, la Motobarca armata SVAN, dove SVAN sta per Società Veneziana Automobili Nautiche, la casa produttrice dell’imbarcazione (un acronimo nell’acronimo a ben vedere, in questo secondo caso: una sintesi nella sintesi, quindi, in perfetto stile futurista come, d’altra parte, la celebrazione dell’innovazione tecnica).
Rendere omaggio ai MAS era un atto in qualche modo dovuto: si trattava di un nuovo, affascinante strumento bellico, che utilizzato proprio in queste occasioni (Trieste e Buccari) per la prima volta meritava un degno battesimo del fuoco, con tanto di poeta vate in sella, per partecipare all’incursione e motto latino per rinfrancare gli animi dei commilitoni.
I MAS, utilizzati inizialmente nella Grande Guerra, furono poi impiegati in maniera massiccia durante il secondo conflitto mondiale.
Memento audere semper: il tatuaggio di Aldo Montano
Come è possibile notare anche dalla foto sopra il motto memento audere semper è anche inciso sull’avambraccio destro dello schermidore Aldo Montano.
Il tatuaggio salì agli onori della cronaca durante le ultime Olimpiadi (Rio, 2016), quando Aldo Montano venne fotografato con l’atleta russa Olga Plachina (nella foto sopra), specialista nei 400 metri, che pochi mesi dopo, lo ha reso padre della piccola Olimpia.
A proposito, occorre notare che negli anni Settanta i neofascisti di estrema destra si appropriarono del motto memento audere semper, come di tante altre frasi fasciste, che trasformarono in uno dei loro simboli distintivi.
Il fatto che Aldo Montano abbia un tatuaggio con questa frase potrebbe certo alludere alle sue simpatie politiche, mentre sembrerebbe un po’ fantasioso affermare, come fece certa stampa a ridosso delle Olimpiadi, che si tratti di un simbolo nazista.
Il tatuaggio non ha portato grande fortuna allo schermidore livornese che, giunto alle sue ultime olimpiadi, anche se ha mostrato tutta l’audacia di cui era capace, è stato eliminato agli ottavi di finale senza conquistare medaglie.
Altri motti di Gabriele D’Annunzio
Dopo aver chiarito cosa significa memento audere semper, ricordiamo anche alcuni altri motti coniati e resi celebri da Gabriele D’Annunzio:
- “Ardisco non ordisco”;
- “Dant vulnera formam” (Le ferite foggiano la forma);
- “Sufficit animus” (Basta il coraggio);
- “Più alto e più oltre”;
- “Per l’aria buona guardia”;
- “Ti con Nu, Nu con Ti”;
- “Cosa fatta capo ha”;
- “Immotus nec iners” (Fermo ma non inerte);
- “Io ho quel che ho donato”;
- “Iterum rudit leo” (Di nuovo rugge il leone);
- “Eja eja alalà”;
- “Osare l’inosabile”;
- “Me ne frego”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Memento audere semper: cosa significa e chi l’ha detto?
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