Memorie garibaldine. La campagna del ’66
- Autore: Antonio Ruini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2010
“In camicia rossa a far la guerra senza combattere”
Fosse stato per lui, stava per partire in guerra contro l’Austria già nel 1859. Fatto sta che aveva solo undici anni, Antonio Ruini da Sassuolo (Modena). Un amico del padre vide che cercava di seguire un reggimento toscano, avvertì un ufficiale che lo bloccò e restituì alla famiglia. È lo stesso ex giovanissimo volontario mancato a confidarlo nelle brevi memorie, affidate nel 1898 ai figli Carlo e Meuccio e da questi pubblicate postume, nel 1937. Sono poi tornate, precedute da una presentazione del curatore Ercole Camurani, in un libretto pubblicato nel 2010, “Memorie garibaldine. La campagna del ’66” , (edizioni Mattioli 1885, 2010 - 168 pagine 12 euro).
Suo malgrado, il ragazzino dovette tornare alle zuffe sul greto del Secchia, trasformate in battaglie tra italiani e tedeschi, con tanto di sorteggio a scuola per assegnare la sgradita fazione nemica, con delle pezzuole colorate come distintivo, rubate a mamme e sorelle.
Un anno dopo, alla notizia della spedizione di Garibaldi in Sicilia, il padre in persona dovette raggiungere il figlio tredicenne che si era messo in strada per aggregarsi all’impresa. Lo riconquistò con infinita tenerezza, piangendo:
“sei troppo piccolo, ragazzino mio, vieni a casa”
(la mamma era morta nel 1858). Ma niente potè il buon genitore nel 1866, alla vigilia della terza guerra d’indipendenza. Antonio, diciannovenne, si era arruolato tra i garibaldini e sulla via dalla Prefettura alla stazione, scorto un amico di famiglia, lo pregò di consegnare una lettera accorata che aveva scritto al babbo e di chiedergli perdono.
Il viaggio fu in treno, quindi, ma in direzione della Puglia, non verso il Nord, dove si sarebbero scontrati i due eserciti nemici. Nel Maggio-Giugno del 1866, i volontari del Centro-Sud vennero dirottati abilmente dal governo regio verso il meridione. Erano tanti, troppi e i generali regolari li vedevano come il fumo negli occhi. Li consideravano ingestibili. Nel Mezzogiorno dovranno raccogliersi per quella che si annuncia come una spedizione via mare, con sbarco oltre Adriatico per attuare una diversione in Dalmazia e impensierire l’Austria anche su quel fronte.
Come in tante cose italiane, organizzazione ce ne dovette essere poca e ancora meno ne traspare dalle note di Ruini. Alloggi scadenti, poco da mangiare, armi pessime e in genere una cattiva accoglienza dai “napolitani”.
Per Antonio tutti i meridionali sono tali e pure briganti. Reciproche diffidenze a parte, non è che intorno a loro il popolo si distinguesse per la calorosa ospitalità. Non tirava aria buona per i giovani volontari. A Foggia, durante la fermata, vennero perfino insultati e minacciati da alcuni sudici cafoni, anche la reazione dei ragazzi non si fece attendere. Erano tanti e ridussero a malpartito i provocatori.
“Curiosi questi napoletani, ciò che pensano e vogliono nessuno capisce”
scrive nelle memorie
“liberati dal Borbone, favoriti dal nuovo governo, dato loro il modo di vendere bene i prodotti, messi in diretto rapporto ed uniti a uomini educati e civili, mostrano avversione e fanno opposizione a noi, compresi di fraterno amore”
A Bitonto, in giro per vedere il paese e fare colazione,
“qual sudiciume da tutte le parti, straccioni gli uomini, peggio coperte le donne, i fanciulli completamente nudi, col ventre pronunciato, i volti poco promettenti, come disturbati dalla nostra presenza”
A Bari, alcuni muratori gettano pietre dal tetto di una casa e colpiscono dei volontari. Non sono rovesciati in basso solo grazie all’intervento provvidenziale (per loro) dei Carabinieri.
La difficile convivenza non ebbe a prolungarsi, perché si ripartì. Questa volta verso il Tirolo, finalmente, a dar man forte agli altri garibaldini, guidati dal generale in persona. Dieci i reggimenti di camicie rosse in azione sulla riva del lago di Garda che guarda il Bresciano, combattenti generosi, motivati, ma quanta confusione e improvvisazione dal punto di vista militare. Per comandare i servizi di guardia quasi bisogna chiederlo per cortesia o minacciare di brutto. Eppure i fucilieri tirolesi sono costantemente sorpresi, anticipati, battuti e le loro contromosse vengono neutralizzate con grande aggressività, dagli assalti “alla garibaldina”. I “tognitt” si asserragliano in qualche piccolo forte, vengono circondati e devono arrendersi. Quanto ai garibaldini, ognuno fa la guerra per conto suo e questo vale per i singoli combattenti quanto per interi reparti.
La delusione di dover lasciare il Tirolo dopo l’armistizio fu tanto grande da sfiduciare l’esercito volontario. Anche Antonio chiese il congedo. Era stanco di
“fare la guerra senza combattere”
Memorie garibaldine. La campagna del '66
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