

Mistero al mulino e altre storie milesi
- Autore: Paolo Sessa
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Brava e cattiva gente, qualche buon diavolo, non pochi satanassi. Tipi e tipacci nei diciotto racconti dell’antologia di vicende nel catanese Mistero al mulino e altre storie milesi di Paolo Sessa (Algra Editore, Viagrande CT, settembre 2024, 160 pagine, con alcune immagini in bianco e nero alla fine di ogni novella).
Sessa è nato ad Avola nel 1950, ha studiato lingue in Italia, Francia e Inghilterra e vive a Milo da oltre cinquant’anni. Ha insegnato lingua e letteratura inglese nei licei e co-diretto, tra il 1985 e il 1992, le riviste “Etna Territorio” ed “Eolo”. Si occupa da vent’anni di linguistica della comunicazione nei testi letterari. Numerose le pubblicazioni nel settore, accanto alla poesia e alla scrittura creativa. È in corso di pubblicazione una biografia romanzata del poeta latino Marziale.
Assicura che tanti personaggi di queste sue novelle sono realmente vissuti e ricorrono tuttora nella memoria dei Milesi; in pochissimi casi sono consegnati alla storia da antichi documenti d’archivio. Ha cercato di mantenere quasi sempre i loro nomi o i pecchi (nomignoli), affibbiati secondo la tipica tradizione locale. Anche le vicende che li riguardano, per quanto trasfigurate nella versione letteraria, appartengono alla memoria collettiva che ne ha fatto nel tempo autentici e delicati o beffardi e ridondanti compendi delle esistenze e delle debolezze umane. Ogni personaggio è colto in un momento rappresentativo della sua vita, approcciato “in punta di piedi e con profondo rispetto”. Il resto è letteratura.
Certo che anche i frati a Milo vivono il buono e cattivo tempo, come tutti gli altri. Se i tempi prendono la piega giusta e la ventura è prospera, ecco entrare in gioco i malamente, come direbbero a Napoli, ma quando il vento soffia contrario il loglio si separa dal grano e in convento restano soltanto i più resilienti, gli umili. Nel primo racconto, Mistero al mulino, che presta il titolo all’intera raccolta, il territorio capitolare offre rispettabilità e agiatezza ai benedettini del Priolo di Sant’Andrea in Milo. È il 1464 e, da quando è arrivato il nuovo priore, gli atteggiamenti dei frati sono cambiati. Se si guarda alla regola benedettina, Ora et Labora, è rimasto poco del “prega” e quasi niente del “lavora”. Più che assorti nelle preghiere o piegati sulla zappa sotto le viti e nell’orto, i monaci girano per i campi a impartire disposizioni ai contadini. C’è da vivere di rendita come i signori, visti i proventi di vigne, canneto, fornace, panetteria e mosti, censi e gabelle e il ricavato del mulino. Le ombre furtive che notte tempo si direbbero entrare e uscire con circospezione dalle celle del convento - una è particolarmente agile nello sgattaiolare - hanno un ruolo nel primo racconto.
Nel secondo, centosessant’anni più avanti, le fortune monacali si sono rovesciate. Sono rimasti soltanto sette benedettini nell’edificio che ospita la comunità da tanti anni. Il priorato di Milo è stato abolito, assorbito come gli altri dal Capitolo secolare di Catania. Tutte le ricchezze sono passate ai preti secolari, e se una volta la sicurezza economica degli introiti concedeva ai frati uno stato sociale rispettabile, ora sono ridotti a vivere d’elemosine e degli scarsi ricavi dal vino, frutta e ortaggi prodotti nel piccolo podere annesso. Si narra nella seconda novella, Rapina alla badia, di una reliquia, un frammento del velo della Beata Vergine, custodito da non si sa quanto dai monaci di Milo, venduto però in cambio di 200 onze per il sostentamento della piccola comunità religiosa. La guida spirituale del cenobio, Frate Mario, si pente della scelta e non sembra intenzionato a intaccare la somma, custodita in luogo sicuro. Più di un malandrino vorrà mettere le mani su quelle onze. Povero Mario.
Cinquant’anni anni dopo gli eventi del 1624, la badia si svuota e tutto resta in balia del tempo e dell’incuria umana. Fatto sta, invece, che la piccola teca col pezzetto di velo della Madonna è tornata chissà come nella chiesetta del Praino, dov’è tuttora.
In uno dei racconti, Il barone tedesco, Sessa riscopre un personaggio che evoca tanti altri agiati stranieri con la fissa delle foto “strane”. Nel primo dopoguerra nel Novecento, su raccomandazione dell’arcivescovo di Catania, l’arciprete di Milo trova un alloggio in paese a un nobile germanico sessantenne, con una particolare mania... Niente di peccaminoso, secondo il presule, nessuno ha mai trovato da ridire, per quanto don Concetto qualche dubbio ce l’abbia, su quegli scatti ai ragazzini nudi.
I racconti proseguono: Botta di sangue com’è potuto accadere?. Don Vito il possidente non si capacita di quello ch’è capitato nella sfida a poker con don Peppino Tre Dita, nei locali della Pro Loco milese, che i compaesani chiamano ironicamente palazzo Venezia. Nel 1955, la richiesta di Milo di diventare comune autonomo, abbandonando Sant’Alfio (e rendendolo così più piccolo e povero) ha spaccato la Democrazia Cristiana. Il 20 gennaio, data fatidica della la votazione della proposta di legge regionale nell’Assemblea siciliana, una delegazione agguerrita raggiunge Palermo. Nella testa dei quattro, un solo pensiero: “O qui si fa il Comune o si muore”. A palazzo dei Normanni sono presenti però soltanto i consiglieri regionali democristiani amici. Non c’è traccia degli altri, sensibili alle ragioni di Sant’Alfio. In mancanza del numero legale nessuna votazione potrebbe essere considerata valida.
E dire ch’era quasi fatta. La situazione sembra senza speranza per l’autonomia di Milo, quando... “Preparate le bombe. Arriviamo”, il telegramma da Palermo raggiunge il paese e la 1100 con i delegati viene accolta dalle campane a stormo, con tanto scorno per i santalfiesi. In serata, festeggiamenti e fuochi d’artificio, le “bombe”. I Carabinieri sono rassicurati.

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